Sartre, Su Merleau Ponty, i Lager, il comunismo e il fascismo

Riportiamo questa lettura che profuma ancora dei dibattiti e delle discussioni appassionate che coinvolsero tanti intellettuali nei primi anni del dopoguerra.

 

J.-P. Sartre, Il filosofo e la politica

 

L’esistenza dei campi, egli diceva, permetteva di misurare tutta l’illusione dei comunisti di oggi. Ma subito dopo aggiungeva: “È questa illusione che ci impedisce di confondere il comunismo e il fascismo. Se i nostri comunisti accettano i campi e l’oppressione è perché essi sono in attesa di una società senza classi... Mai nazista si è ingombrato la testa di idee quali riconoscimento dell’uomo da parte dell’uomo, internazionalismo, società senza classi. È vero che le idee trovano nel comunismo di oggi soltanto un portatore infedele... resta il fatto che ci rimangono”. E aggiungeva in maniera ancor piú esplicita: “Noi abbiamo gli stessi valori di un comunista... Possiamo pensare che egli li comprometta, incarnandoli nel comunismo di oggi. Certo è che questi valori sono nostri e che noi non abbiamo, al contrario, niente in comune con un buon numero degli avversari del comunismo... L’URSS si trova grosso modo situata... dalla parte delle forze che lottano contro le forme di sfruttamento da noi conosciute... Non bisogna avere indulgenza nei confronti del comunismo, ma non si può in nessun caso venire a patti con i suoi avversari. La sola critica sana è quindi quella che prende di mira, nell’URSS e fuori dell’URSS, lo sfruttamento e l’oppressione”.

Niente di piú chiaro; qualunque siano i suoi crimini, l’URSS ha questo temibile privilegio nei confronti delle democrazie borghesi: l’obiettivo rivoluzionario. Un inglese diceva, a proposito dei campi: “Sono le loro colonie”. Al che Merleau risponde: “Quindi le nostre colonie, mutatis mutandis, sono i nostri campi di lavoro”. Ma questi nostri campi non hanno altro scopo che di arricchire le classi privilegiate; quelli russi sono forse piú criminali ancora poiché tradiscono la rivoluzione; ma rimane il fatto che sono stati costruiti con l’idea di servirla. Può darsi che il marxismo si sia imbastardito, che le difficoltà interne e la pressione esterna abbiano falsato il regime, deviato le istituzioni, stornato il socialismo dal suo corso la Russia rimane qualche cosa che non si può confrontare con le altre nazioni; non è permesso giudicarla che dopo aver accettato la sua impresa e nel nome di questa.

Insomma, cinque anni dopo il suo primo articolo, in un momento di estrema gravità, egli ritornava ai princípi della sua politica: a fianco del partito, vicino al partito, mai dentro. Il partito era il nostro unico punto di riferimento; l’opposizione dall’esterno il nostro solo atteggiamento nei suoi confronti. Attaccare soltanto l’URSS significava assolvere l’occidente. Si può trovare in questo fermo proposito un’eco del pensiero trotskista: se l’URSS è attaccata, diceva Trotski, bisogna difendere le basi del socialismo; quanto alla burocrazia staliniana, non tocca al capitalismo regolare i conti con essa, se ne incaricherà il proletariato russo.

 

J.-P. Sartre, Il filosofo e la politica, Editori Riuniti, Roma, 1972, pagg. 222-224