Scheler, Sul biologismo metafisico

Con l’espressione “biologismo metafisico” Scheler intende quelle teorie metafisiche tratte dall’evoluzionismo, le quali riducono lo spirito a un prodotto dell’energia biologica, ad un risultato dello “slancio vitale”. La persona è piú della vita e l’uomo non coincide con il suo corpo.

 

M. Scheler, Wesen und Formen der Sympathie, in Gesammelte Werke; trad. it. Essenze e forme della simpatia, Città Nuova, Roma, 1980, pagg. 140-143

 

Noi rigettiamo interamente e decisamente il biologismo metafisico, ossia la concezione del fondamento del mondo come élan vital, “vita universale” ecc., come hanno sostenuto Bergson, Simmel, O. Lodge, ed altri. Lo “spirito”, nous, né come “spirito” conoscente, intuente e pensante, né come “spirito” emozionale e volitivo è una “fioritura della vita”, una “sublimazione” della vita. Nessun tipo e nessuna forma di regolarità noetica si può “ridurre” alla regolarità biopsichica dei processi automatici e (oggettivamente) teleoclini; quella è “autonoma”. I valori conoscitivi, inoltre, e i valori etici ed estetici non sono sottospecie dei valori vitali. Le regioni dell’essere e le sfere degli oggetti alle quali mirano intenzionalmente tutti gli autentici atti noetici (tra cui anche la regione dell’essere e dell’oggetto di tutte le cose e di tutti i processi dell’essenza della vita medesima) “sono” ed esistono tutte indipendentemente dall’essenza e dall’esistenza della vita e degli organismi viventi, solo cosí la vita stessa può ridiventare un oggetto della conoscenza oggettiva e dell’apprensione dei valori. Se ogni essenza e esistenza, o se la loro conoscenza fosse “relativa” (relativa nell’esistenza o nella conoscenza) alla “vita”, allora la vita stessa sarebbe inconoscibile. Ma proprio la sfera dell’attualità spirituale si articola in modo rigorosamente personale, sostanziale e in se stesso individuato, fino a Dio come la persona di tutte le persone. Consideriamo perciò come il massimo fra tutti gli errori metafisici ogni dottrina che, a cominciare da Averroè, voglia intendere le “persone”, ossia i centri concreti degli atti spirituali, come “modi”, “funzioni” d’uno spirito universale, di uno spirito assolutamente inconscio (v. Hartmann), di una coscienza assoluta trascendentale (Husserl), di una ragione trascendentale (Fichte, il “panteismo razionale” di Hegel). La persona umana non è affatto individuata primamente dal suo corpo, che in ultima analisi, piuttosto, solamente “appartiene” a essa, alla persona, e che può essere distinto da tutti gli altri possibili corpi come il campo del suo piú immediato dominio; e non è nemmeno individuata dal contenuto dei suoi atti e dei loro oggetti, o dal “contesto” temporale del ricordo o da qualsiasi altro contesto delle sue esperienze vissute – ma tutto questo contenuto e contesto del flusso dell’esperienza vissuta è oggettivamente diverso per il fatto stesso che le persone in sé individuate, alle quali esso appartiene, sono diverse nel loro esser-cosí. La persona, quindi, si “innalza” e si “eleva” nella sua purezza al di sopra della sua stessa “vita” e di ogni altra “vita”, che è solamente una condizione dell’esistenza terrena e nello stesso tempo materia della sua conformazione.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. II, pagg. 243-244