Per
Scheler vi è un numero limitato di metafisiche possibili. Esse si sono
manifestate nel corso della storia e sono continuamente in conflitto fra di
loro. Nella metafisica non esiste progresso, ma crescita.
M. Scheler, Über
die positivistiche Geschichtesphilosophie des Wissens (Dreistadiengesetz),
in Gesammelte Werke; trad. it. Filosofia della storia e filosofia del sapere nel positivismo (Legge dei
tre stadi), in Lo spirito
del capitalismo, a cura di R. Racinaro, Guida, Napoli, 1988, pagg. 122-124
Il positivismo non sbagliava nel fatto che considerava il senso religioso dell'uomo, in quanto organo di conoscenza, piuttosto come tendente a scemare anziché ad aumentare nel corso della storia; esso errava piuttosto nel fatto che affermava la stessa cosa anche dei bisogni religiosi, della pulsione verso la religione; e nel fatto che esso nella diminuzione delle disposizioni spirituali dell'anima a entrare in un contatto immediato con il trascendente, a causa della sua falsa teoria del progresso (un pregiudizio europeo), scorgeva anche un segno del fatto che non spetta alcuna realtà al dato del senso religioso. La conclusione giusta, a partire da questa diminuzione, è però soltanto la comprensione del fatto che, nelle cose della religione, l'umanità di volta in volta successiva debba solo conservare ciò che l'umanità precedente ha conosciuto finché non vi siano e finché non trovino fede nuove, libere e autonome aperture di Dio agli uomini.
Anche la metafisica non progredisce nello stesso senso in cui progredisce la scienza positiva. Le metafisiche possibili sono, in base ai loro schemi principali, una quantità di tipi delimitati (W. Dilthey), che ritornano sempre e che entrano sempre di nuovo in lotta e in reciproca contrapposizione ai piú diversi livelli di formazione scientifica e di fondazione. Cosí si basa sulla natura del tipo di conoscenza metafisico, il cui mezzo fondamentale è la visione d'essenze. Essenze e relazioni d'essenza sono anzi costanti del mondo; la loro conoscenza è evidente, conclusa e, rispetto al quantum di esperienza induttiva, a priori. La conoscenza metafisica è, dunque, per principio, possibile in ogni situazione storica della scienza positiva come quantum – di volta in volta esistente – di esperienza umana. Le manca necessariamente il carattere di “processo infinito”, che è presente ovunque si facciano osservazioni, induzioni e deduzioni. Come alla metafisica manca il “progresso” cumulativo, che appartiene all'essenza della scienza positiva, cosí le manca anche il fenomeno che sempre si accompagna al “progresso”: la svalutazione della “situazione della scienza” di volta in volta precedente. I sistemi di Platone e di Aristotele, di Agostino, di Descartes, di Leibniz, di Kant ecc. non sono invecchiati come è invecchiata oggi la chimica di Lavoisier o la meccanica di Newton. Non possono mai invecchiare. La metafisica “cresce” nei suoi diversi tipi e perviene a compimento in quanto cresce; ma non progredisce. La metafisica, inoltre, in quanto è opera del saggio ed è un sistema, non è suscettibile di una gestione basata sulla divisione del lavoro come avviene invece nel caso della scienza positiva. Essa rimane legata in maniera personale alla fisionomia spirituale del suo autore, e il suo “mondo” è il suo riflesso. I grandi metafisici sono pertanto insostituibili. Le grandi scoperte delle scienze positive, per es. il principio d'inerzia, il principio della conservazione dell'energia, il secondo principio della termodinamica, sono state invece compiute insieme da molti scienziati. La situazione dei problemi e l'automatismo del metodo sembra far emergere quasi da sé i risultati delle scienze positive. Gli “scienziati” appaiono spesso soltanto come servitori, come portavoce del metodo e del processo scientifico, continuo, logico-obiettivo. Le opere di Platone e di Kant, invece, sono irripetibili, e non si può pensare che un altro avrebbe trovato ciò che essi hanno trovato.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. II, pagg. 238-239