Alla fine del suo itinerario
filosofico Schelling arriva al mito. Egli afferma che i miti non sono favole
senza senso, ma l’espressione di una verità primordiale e quindi profonda.
L’uscita dell’uomo dalla quiete, cioè dal paradiso originario, è l’oggetto
specifico dei racconti mitici e l’inizio della storia.
F.
W. J. Schelling. Filosofia
della rivelazione,
II
Ricollegando l’inizio del
processo mitologico a questo che è il primo di tutti gli avvenimenti, a questa
catastrofe originaria della coscienza umana, noi spieghiamo nello stesso tempo
il processo mitologico come un destino universale, al quale proprio
perciò era soggetto l’intero genere umano. La mitologia non è nata da
presupposti accidentali, empirici, per esempio invenzioni di singoli poeti o
filosofi cosmogonici, che ci si permette di trasferire nei tempi piú antichi,
neppure da confusioni o fraintendimenti casuali: essa si perde, con le sue piú
lontane radici, in quel fatto originario o piuttosto in quell’atto
immemorabile, senza del quale non ci sarebbe in generale storia alcuna. Infatti
la storia, in quanto è un nuovo mondo del movimento, non avrebbe certo potuto
esser posta se l’uomo non avesse mosso e scosso di nuovo quel fondamento della
creazione mercé il quale tutto doveva pervenire alla quiete e ad uno stato
eterno. Senza un’uscita dal paradiso originario non ci sarebbe storia: è per
questo che quel primo passo dell’uomo è il vero avvenimento originario,
l’avvenimento che solo ha reso possibile una successione di altri avvenimenti,
cioè la storia.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol.
XVIII, pag. 328