Schelling, Idealismo e dogmatismo

Schelling, in piena sintonia con la svolta fichtiana, ribadisce la superiorità dell’idealismo sulla filosofia dell’essere, perché originario non è l’essere ma il sapere.

 

F. W. J. Schelling, Sistema della filosofia trascendentale

 

Poiché il filosofo trascendentale fa sempre soltanto del soggettivo il proprio oggetto, egli si limita ad affermare che soggettivamente, cioè per noi, esiste un qualche primo sapere; se poi, fatta astrazione da noi, al di là di questo primo sapere esista in generale ancora qualcosa, per ora non lo preoccupa, e sarà il seguito a deciderne.

Ora, questo primo sapere è per noi senza dubbio il sapere di noi stessi, o l’autocoscienza. Se l’idealista fa di questo sapere il principio della filosofia, ciò è conforme alla limitatezza del suo compito, che all’infuori della parte soggettiva del sapere non ha altro per oggetto. Che l’autocoscienza sia il punto fermo a cui per noi tutto è collegato, non abbisogna di dimostrazione alcuna. Ma che quest’autocoscienza possa poi essere a sua volta solo la modificazione di un essere superiore (forse di una coscienza superiore, e questa di una ancor superiore, e cosí via all’infinito), in una parola, che anche l’autocoscienza possa ancor essere in generale qualcosa di spiegabile, di spiegabile con qualcosa del quale niente possiamo sapere, poiché appunto e soltanto con l’autocoscienza si realizza l’intera sintesi del nostro sapere, è cosa che in quanto filosofi trascendentali non ci tocca; giacché l’autocoscienza è per noi non già un modo dell’essere, ma un modo del sapere, e piú precisamente il modo supremo ed estremo che per noi ci sia in generale.

È persino possibile dimostrare, per andare ancor piú avanti, ed in parte è già stato dimostrato sopra, che anche quando arbitrariamente si pone come primo l’oggettivo, noi tuttavia non usciamo mai dalla sfera dell’autocoscienza. Noi allora, nelle nostre spiegazioni, o siamo ricacciati all’infinito, dal fondato al fondamento, o dobbiamo rompere arbitrariamente la serie, per il fatto che poniamo un assoluto, che è di per sé stesso la causa e l’effetto – soggetto e oggetto –, col che, essendo ciò originariamente possibile soltanto mediante autocoscienza, poniamo di nuovo come primo un’autocoscienza; questo accade nella scienza della natura, per la quale l’essere è cosí poco originario come per la filosofia trascendentale, e che ripone l’unica realtà in un assoluto, che è di per sé causa ed effetto, nell’assoluta identità del soggettivo e dell’oggettivo, che noi chiamiamo natura, e che nella sua piú alta potenza non è di nuovo altro se non autocoscienza.

Il dogmatismo, per cui l’essere è l’originario, non può in generale offrire la sua spiegazione che con un regresso all’infinito, giacché la serie di cause e di effetti che la sua spiegazione percorre potrebbe esser chiusa soltanto per mezzo di qualcosa che sia ad un tempo causa ed effetto di sé, ma proprio perciò si trasformerebbe in scienza della natura, la quale a sua volta, nel suo compimento, ritorna al principio dell’idealismo trascendentale. (Il dogmatismo conseguente esiste nello spinozismo; a sua volta però lo spinozismo può continuare ad esistere come sistema reale solo come scienza della natura, il cui risultato finale ridiventa principio della filosofia trascendentale).

Da tutto ciò è evidente che l’autocoscienza circoscrive tutto l’orizzonte del nostro sapere anche esteso all’infinito, e in ogni direzione resta ciò che v’ha di supremo.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 147-148