Dall'analisi razionale della
natura organica Schelling deduce il carattere unitario di tutta la realtà.
F. W. J. Schelling, Primo
abbozzo di un sistema della filosofia della Natura, Introduzione
Ora, il meccanicismo è però lungi
dal costituire da solo la Natura. Infatti non appena entriamo nel campo della natura
organica ogni collegamento meccanico di causa ed effetto viene meno. Ogni
prodotto organico sussiste per se stesso, la sua esistenza non dipende
da nessun'altra esistenza. Ora, la causa non è però mai identica
all'effetto: un rapporto di causa ed effetto è possibile solo fra cose affatto diverse.
L'organismo, invece, produce se stesso, scaturisce da se stesso:
ogni singola pianta non è che il prodotto di un individuo della sua
specie, e cosí ogni singolo organismo produce e riproduce all'infinito soltanto
il proprio genere [...].
Soltanto nell'essere organizzato
le parti sono reali; ed esistono senza il mio intervento, poiché tra
esse e il tutto v'è un rapporto oggettivo. A fondamento di ogni
organismo sta quindi un concetto, giacché là dove vi è relazione
necessaria del tutto con le parti e delle parti col tutto, ivi c'è il concetto.
Ma questo concetto abita nell'organismo stesso, e non ne può venire
separato: l'organismo organizza se stesso, e non è soltanto un'opera dell'arte,
il cui concetto si trova fuori di essa, nella mente dell'artista. Non
solo la forma, ma anche l'esistenza dell'organismo è conforme a scopi.
Esso non potrebbe organizzarsi se non fosse già organizzato [...].
Ogni organismo è dunque un tutto:
la sua unità si trova in lui stesso, e non dipende dal nostro
arbitrio pensarlo come un'unità o come una molteplicità. Il rapporto di causa
ed effetto è qualcosa di transitorio, di dileguante, mera apparenza, nel
senso comune del termine. L'organismo invece non è mera apparenza, ma esso
stesso oggetto, e piú precisamente un oggetto sussistente di per se stesso,
in se stesso intero ed indivisibile; e poiché in esso la forma è inseparabile
dalla materia, l'origine di un organismo in quanto tale non è piú
spiegabile meccanicisticamente di quanto non lo sia l'origine della materia
stessa.
Qualora dunque si debba spiegare
il finalismo dei prodotti organici, il dogmatico si vede del tutto abbandonato
dal suo sistema. Qui non giova piú a nulla separare a nostro piacimento
concetto e oggetto, forma e materia. Infatti per lo meno qui l'una cosa
e l'altra non sono unite nella nostra rappresentazione, ma lo sono già
originariamente e necessariamente nell'oggetto [...].
La prima cosa, dunque, che voi
ammettete è questa: ogni concetto di finalismo può sorgere soltanto in un
intelletto, e solo in relazione a un tale intelletto una cosa può esser
definita conforme a scopi.
Egualmente siete non meno
costretti ad ammettere che il finalismo dei prodotti naturali risiede in
essi stessi, che esso è oggettivo e reale, che dunque non
appartiene alle vostre rappresentazioni arbitrarie, ma a quelle necessarie.
Siete infatti in grado di distinguere molto bene ciò che nelle connessioni dei
vostri concetti è arbitrario e ciò che è necessario. Ogni volta che raccogliete
in un'unità numerica cose che sono separate dallo spazio, voi agite
affatto liberamente; l'unità che conferite loro, non fate che trasferirvela dai
vostri pensieri; nelle cose stesse non vi è ragione alcuna che vi
necessiti a pensarle come un'unità. Ma del fatto che pensate ogni pianta come
un individuo in cui tutto cospira a un unico scopo, dovete cercare la ragione
nella cosa fuori di voi: vi sentite necessitati nel vostro giudizio, e
dovete quindi ammettere che l'unità con cui pensate ciò non è soltanto logica
(soltanto nei vostri pensieri), ma reale (effettiva fuori di voi).
Vi si chiede ora di rispondere a
questa domanda: come avviene che un'idea, la quale evidentemente non può
esistere che in voi e perciò avere realtà soltanto in relazione a voi, debba
ciononostante venir intuita e rappresentata da voi stessi come reale fuori di
voi? [...].
Questa filosofia deve dunque
ammettere che nella Natura ci sia uno sviluppo di gradi della vita, che anche
nella materia meramente organizzata ci sia vita, solo una vita di specie
limitata. Quest'idea è cosí antica, e nelle piú varie forme si è mantenuta fino
ad oggi cosí costantemente (già nei tempi piú antichi si riteneva che tutto
quanto l'universo fosse compenetrato da un principio vivificante detto anima
del mondo, e la piú recente epoca di Leibniz assegnò ad ogni pianta la sua
anima), che si può a ragione presumere che nello stesso spirito umano si trovi
una qualche ragione di questa credenza sulla Natura. E cosí stanno veramente le
cose. Tutto il fascino che circonda il problema dell'origine dei corpi organici
dipende dal fatto che in queste cose necessità e contingenza sono intimamente unite.
La necessità, perché la loro stessa esistenza, e non solo (come
nell'opera d'arte) la loro forma, è conforme a scopi; la contingenza,
perché questa conformità a scopi è reale soltanto per un essere che intuisca e
che rifletta. Da ciò lo spirito umano fu sin dall'antichità condotto all'idea
di una materia organizzante sé stessa, ed essendo l'organismo
rappresentabile soltanto in relazione a uno Spirito, all'idea di un'unione
originaria dello Spirito e della materia in queste cose. Esso si vide necessitato
a cercare la ragione di queste cose per un verso nella Natura stessa, e per
l'altro in un principio superiore alla Natura, e perciò pervenne assai per
tempo a pensare Spirito e Natura come un'unità. Qui per la prima volta si fece
innanzi dalla sua sacra oscurità quell'essenza ideale in cui esso pensa come
una sola unità concetto e atto, progetto ed esecuzione. Qui per la prima volta
l'uomo fu colto da un presentimento della sua propria natura, nella quale
intuizione e concetto, forma e oggetto, ideale e reale sono originariamente una
sola e medesima cosa. Di qui il particolare mistero che avvolge questi
problemi: un mistero che la filosofia meramente riflessiva, mirante solo alla separazione,
non è mai in grado di svelare, mentre la pura intuizione, o piuttosto
l'immaginazione creatrice, ha ormai da lungo tempo scoperto il linguaggio
simbolico, che basta interpretare per accorgersi che la Natura parla tanto piú
intelligibilmente quanto meno la si pensa in maniera meramente riflessiva.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 92-94)