Schelling, Il male in Dio

Anche questa lettura tratta del problema del male, che è centrale nella riflessione di Schelling,del secondo periodo. Egli, ispirandosi a Jacob Böhme (1575–1624), ritiene si debba operare una distinzione fra Dio come natura (principio oscuro) e Dio come spirito (principio luminoso). Dio non è sistema, ma vita, ed il distacco della natura dallo spirito è il male di Dio. Il bene invece consiste nel recupero della natura nello spirito.

 

F. W. J. Schelling, Ricerche filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi

 

Dunque per spiegare il male non ci è dato altro all’infuori dei due princípi in Dio. Dio come spirito (l’eterno legame di entrambi) è l’amore purissimo, ma nell’amore non può mai esserci una volontà del male, e cosí nemmeno nel principio ideale. Ma Dio stesso, per poter essere, abbisogna di un fondamento (Grund), se non che questo non è fuori di lui, ma in lui; e Dio ha in sé una natura, la quale, benché appartenga a lui stesso, è diversa da lui…

Nell’intelletto divino vi è un sistema, ma Dio stesso non è un sistema, bensí una vita, ed è in ciò che risiede la risposta alla questione circa la possibilità del male in relazione a Dio. Ogni esistenza richiede una condizione per divenire esistenza reale, cioè personale. Anche l’esistenza di Dio senza una tal condizione non potrebbe essere personale; se non che egli ha questa condizione in sé, non fuori di sé. Egli non può abolire la condizione, altrimenti dovrebbe abolire sé stesso: può soltanto dominarla con l’amore e subordinarsela a sua glorificazione. Anche in Dio vi sarebbe un fondamento dell’oscurità, se egli non facesse propria la condizione, se non si unisse con essa a formare un tutt’uno, in una personalità assoluta. L’uomo non ottiene mai la condizione in suo potere, quantunque vi aspiri nel male; essa gli è soltanto imprestata, ed è indipendente da lui; perciò la sua personalità e ipseità non può mai elevarsi all’atto perfetto. Questa è la tristezza inerente ad ogni vita finita, e se in Dio v’è una condizione almeno relativamente indipendente, anche in lui v’è una sorgente di tristezza, che non perviene però mai a realtà, ma serve unicamente all’eterna gioia del superamento. Donde il velo di mestizia che di distende sulla natura tutta, la profonda ineluttabile malinconia di ogni vita. La gioia deve accogliere il dolore, il dolore dev’essere trasfigurato in gioia.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pag. 244