Il tema del male è fondamentale
nel secondo periodo della riflessione schellingiana. In modo molto efficace il
filosofo delinea gli aspetti devastanti che una vera dottrina della libertà è
in grado di produrre su di un sistema filosofico idealista e su qualsiasi tipo
di sistema monistico. Schelling definisce il male come il desiderio dei
particolarismi di affermarsi, come un disordine fra il centro e la periferia.
Franz Baader (1765-1841), filosofo ed amico personale di Schelling, aveva
recuperato alla filosofia il pensiero dei mistici tedeschi a cominciare da J.
Böhme.
F. W. J. Schelling, Ricerche
filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi
Ma lo stesso idealismo, malgrado
l’elevatezza del livello a cui ci ha innalzati e la certezza del primo concetto
perfetto ch’esso ci ha dato della libertà formale, tuttavia in sé e per sé è
tutt’altro che un sistema compiuto, e non appena vogliamo addentrarci nella sua
esattezza e determinatezza, ci lascia, quanto alla dottrina della libertà,
piuttosto perplessi…
L’idealismo, infatti, da una
parte dà soltanto il concetto piú generale della libertà, e dall’altra il
concetto meramente formale di essa. Ma il concetto reale e vivente della
libertà è che essa sia una facoltà del bene e del male.
Questo è il punto della piú
profonda difficoltà in tutta la dottrina della libertà, difficoltà che da
sempre è stata avvertita, e che non riguarda solo questo o quel sistema, bensí,
piú o meno, tutti, e che riguarda certo in modo particolarmente spiccato il
concetto dell’immanenza. Infatti, o si ammette un male reale, e allora è
inevitabile porre il male nell’infinita sostanza o nello stesso volere
originario, col che si distrugge interamente il concetto di un essere perfettissimo;
oppure bisogna negare in qualche modo la realtà del male, ma con ciò svanisce
insieme il reale concetto della libertà…
Se la libertà è realmente ciò
ch’essa dev’essere secondo questo concetto (ed essa lo è immancabilmente), non
si è allora piú in ordine con la sopra tentata derivazione della libertà da
Dio; ché se la libertà è un potere di fare il male, deve avere allora una
radice indipendente da Dio. Cosí incalzati, si può esser tentati di gettarsi in
braccio al dualismo. Ma questo sistema, se è realmente pensato come la dottrina
di due princípi assolutamente diversi e reciprocamente indipendenti, non è se
non un sistema dell’autodistruzione e della disperazione della ragione. Se
invece il principio cattivo è pensato in qualche senso come dipendente dal
buono, tutta la difficoltà della derivazione del male dal bene è sí concentrata
in un solo essere, ma è in tal modo accresciuta anziché diminuita. Anche
supponendo che questo secondo essere sia stato da principio creato buono e si
sia staccato per propria colpa dall’essere originario, resta sempre
inesplicabile in tutti i sistemi che si sono avuti finora la prima facoltà di
un atto di ribellione a Dio…
Che quella sollevazione della
volontà particolare sia il male, si chiarisce da quanto segue. La volontà, che
esce dalla sua sovrannaturalità per farsi particolare e creaturale pur in
quanto volontà universale, si sforza di sovvertire il rapporto dei princípi, di
innalzare il fondamento sopra la causa, di usare lo spirito, ch’essa ha
ottenuto solo per il centro, fuori di questo e contro la creatura, onde segue
disordine in lei stessa e fuori di lei. La volontà dell’uomo è da considerarsi
come un fascio di forze viventi; finché essa stessa rimane nella sua unità con
la volontà universale anche quelle forse permangono in divina misura e in
divino equilibrio. Ma non appena la stessa volontà particolare si è scostata
dal centro, che è il suo luogo, si scioglie anche il vincolo delle forze; al
suo posto domina una mera volontà particolare, che non può piú unificare, come
la volontà originaria, le forze sotto di sé, e che deve perciò tendere a
formare o a comporre una vita propria e isolata con le forze staccatesi l’una
dall’altra, con l’esercizio ribelle delle brame e delle voglie (essendo ogni
singola forza anche un desiderio e una voglia), il che in tanto è possibile, in
quanto anche nel male continua a sussistere il primo vincolo delle forze, il
fondamento della natura. Non potendo però esserci altra vera vita che quella
che poteva sussistere nel rapporto originario, nasce cosí una vita propria ma
falsa, una vita della menzogna, una propaggine dell’inquietudine e della
corruzione […].
Questo concetto del male, ch’è il
solo giusto, e secondo il quale il male si basa su un positivo pervertimento o
sovvertimento dei princípi, è stato messo in rilievo, nei tempi moderni,
particolarmente da Franz Baader, e da lui chiarito con profonde analogie
fisiche, segnatamente quelle della malattia.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol.
XVIII, pagg. 232-234