Ancora una lettura sul problema
del male, fondamentale nella filosofia di Schelling del secondo periodo. Egli
presenta nella lettura un tentativo di giustificazione razionale dell’esistenza
del male. Il bene ed il male sono fra di loro contrari ed il loro rapporto è
dialettico, per cui non si può dare l’uno senza l’altro, né eliminare l’uno
senza che venga eliminato anche l’altro.
F. W. J. Schelling, Ricerche
filosofiche sull’essenza della libertà umana e gli oggetti che vi sono connessi
Non può esservi alcun dubbio che
il male è stato necessario per la rivelazione di Dio. Infatti, se Dio come
spirito è l’unità indivisibile dei due princípi, e se questa stessa unità è
reale solo nello spirito dell’uomo, nel caso che questa unità fosse nello
spirito umano altrettanto indissolubile quanto in Dio, l’uomo non sarebbe per
niente diverso da Dio: l’uomo si risolverebbe in Dio, e non ci sarebbe né
rivelazione né moto d’amore. Infatti ogni essere può rivelarsi solo per mezzo del
suo contrario: l’amore solo nell’odio, l’unità solo nella lotta. Se non ci
fosse separazione dei princípi, l’unità non potrebbe mostrare la sua
onnipotenza: se non ci fosse la discordia, l’amore non potrebbe diventar reale.
L’uomo è collocato a un livello cosí alto, che ha in sé stesso l’origine del
suo spontaneo movimento verso il bene o verso il male indifferentemente: il
legame dei princípi in lui non è necessario, ma libero. Egli sta nel punto
decisivo: qualunque cosa egli scelga, l’azione sarà sua, ma non può restare
nella indecisione, perché Dio deve rivelarsi necessariamente, e perché nella
creazione in generale non deve rimanere nulla di equivoco…
Si è spesso creduto che chi ha
voluto il mondo abbia dovuto volere anche il male. Ma quando Dio riconduceva
all’ordine i disordinati parti del caos ed esprimeva nella natura la sua eterna
unità, egli con ciò operava piuttosto contro le tenebre, e opponeva allo
sregolato movimento del principio irrazionale il verbo, come centro stabile e
lume eterno. La volontà di creare era dunque immediatamente solo una volontà di
far nascere la luce, e quindi il bene; in questa volontà il male non venne in
considerazione né come mezzo né come conditio sine qua non per la
massima perfezione possibile del mondo, come dice Leibniz. Il male non fu
oggetto né d’un decreto divino né tanto meno d’una concessione divina. La
domanda perché Dio, pur avendo necessariamente previsto che il male sarebbe
derivato almeno in modo concomitante dall’autorivelazione, non abbia preferito
non rivelarsi affatto, non merita risposta. Sarebbe come dire che perché non ci
sia l’antitesi dell’amore non dev’esserci neanche l’amore… Se Dio per evitare
il male non si fosse rivelato, il male l’avrebbe vinta sul bene e sull’amore…
Sarebbe come se Dio sopprimesse la condizione della sua esistenza, cioè la sua
propria personalità. Insomma, perché non ci fosse il male, bisognerebbe allora
che Dio stesso non ci fosse…
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol.
XVIII, pagg. 245-246