Quando due
passi della Torah paiono in contraddizione fra di loro, viene chiesto alla
tradizione di dare una spiegazione. Questo caso particolare dimostra che Dio è
presente non solo nella “parola rivelata”, ma anche nella tradizione stessa.
G. Scholem, I concetti fondamentali
dell’ebraismo, trad. it. di M. Bertaggia, Marietti, Genova, 1986, pagg.
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Disse allora il rabbi: È dunque possibile che in Dio ci sia il dubbio? Rispose allora Elia: Questa e quella sono entrambe parole del Dio vivente”.
È dunque possibile che entrambe le parole siano valide. Ma laddove l’una vieta ciò che l’altra consente, non è possibile che entrambe le parole siano valide. Alla fine andrà presa una decisione, e di conseguenza una delle due posizioni non avrà piú valore. Ma se noi consideriamo anche queste posizioni contrapposte come parole del Dio vivente, come potremo ritenere che una qualsiasi delle sue opere non sia valida? Le argomentazioni dei rabbini francesi, come si vede, non sono sufficienti a risolvere questo dilemma, e la mente rimane dunque inquieta. Viceversa, essa può trovare pace se risale al fondamento e al mistero invocati a questo proposito dalla tradizione cabbalistica, di cui fa menzione il rabbi di Siviglia. Il versetto dell’Ecclesiaste [Qo 12,11]: “Le parole dei saggi sono come pungoli; come chiodi piantati le raccolte di autori: esse sono date da un solo pastore”, viene interpretato dal trattato Chagigah (f. 3b): “Le raccolte di autori sono i saggi che siedono in assemblea e discutono della Torah. Gli uni dichiarano qualcosa impuro, gli altri puro; i primi vietano, i secondi consentono; gli uni dichiarano qualcosa conveniente, gli altri sconveniente. Qualcuno potrebbe chiedersi: Se le cose stanno cosí, com’è possibile allora studiare la Legge? Per questo la Scrittura prosegue dicendo: tutte le parole sono state date da uno stesso pastore; a darle è stato un solo Dio, un solo interprete [Mosè] le ha pronunciate per bocca del Signore di ogni opera, Egli sia benedetto, cosí come sta scritto [Es 20,11]: ‘E Dio pronunciò tutte queste parole’. E voi aprite le vostre orecchie a imbuto e disponete alla comprensione il vostro cuore, affinché possiate intendere le parole di coloro che decidono per l’impuro e di quelli che decidono per il puro, le parole di coloro che interdicono e le parole di coloro che consentono, le parole di coloro che dichiarano non conveniente e le parole di coloro che dichiarano conveniente.
Questo discorso ci attesta che tutte le differenti opinioni e i differenti punti di vista che si contrappongono reciprocamente, sono stati dati da un Dio unico ed espressi da un unico interprete. Tutto ciò risulta davvero estraneo all’intelligenza umana. Per sua costituzione, l’uomo non è in grado di comprendere tutto questo, se non per l’aiuto che gli viene dalla via di Dio: quella via su cui risplende la luce della cabbala”.
Nella prospettiva dell’ebraismo, dunque, l’autentica tradizione, cosí come ogni processo creativo, non è affatto il prodotto della sola attività umana. Essa proviene piuttosto da una causa prima. Alla tradizione cosí intesa si può allora forse attribuire quanto ebbe a dire Max Scheler, come riferisce Végh: “L’artista è soltanto la madre dell’opera, il padre è Dio”. La tradizione è una delle grandi produzioni umane in cui si realizza il rapporto della vita umana con ciò che la fonda. È il contatto vivente per cui l’uomo afferra la verità primordiale, ricollegandosi a essa attraverso tutte le generazioni nel dialogo del dare e del ricevere.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. V, pagg. 179-180