Schopenhauer, Diavoli e arcidiavoli

A. Schopenhauer si rifà alla tradizionale concezione dell’homo homini lupus per arrivare a proporre quella dell’homo homini diabolus, con una particolare attenzione agli amanti delle guerre e dei massacri, della schiavitú e dello sfruttamento, che sono denominati arcidiavoli.

 

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, II, 46

 

Inoltre la fonte principale del male piú grave, che colpisce gli uomini, è l’uomo stesso: homo homini lupus. Chi considera bene quest’ultima cosa, scorge il mondo come un inferno, che supera quello di Dante in questo, che ognuno è diavolo per l’altro; a questo compito, poi, qualcuno è certamente piú adatto di un altro, e piú di tutti un arcidiavolo, che compare nella figura di un conquistatore e mette di fronte gli uni agli altri centinaia di migliaia di uomini e grida loro: “Soffrire e morire è il vostro destino: ora sparatevi contro con fucili e cannoni!”, ed essi lo fanno. Generalmente, però, l’ingiustizia, l’iniquità piú grave, la durezza e la crudeltà rappresentano, di regola, il modo di agire degli uomini tra di loro: solo eccezionalmente si presenta un comportamento opposto. Da questo dipende la necessità dello stato e della legislazione, e non dalle vostre fandonie. In ogni caso, però, che non rientri nell’ambito delle leggi, si mostra subito la mancanza di scrupoli, propria dell’uomo, nei riguardi del suo simile, che deriva dal suo illimitato egoismo, e talvolta anche da malvagità. Come l’uomo si comporti con l’uomo, è mostrato, ad esempio, dalla schiavitú dei negri, il cui scopo ultimo è zucchero e caffè. Ma non v’è bisogno di andare cosí lontano: entrare nelle filande o in altre fabbriche all’età di cinque anni, e d’allora in poi sedervi prima per dieci, poi per dodici, infine per quattordici ore al giorno, ed eseguire lo stesso lavoro meccanico, significa pagar caro il piacere di respirare. Eppure questo è il destino di milioni, e molti altri milioni ne hanno uno analogo.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 651-652