Per Schopenhauer l’amore consiste nel capire il dolore
degli altri attraverso il proprio dolore e averne una disinteressata
compassione.
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione, § 67
Abbiamo veduto come dall’oltrepassamento del principii individuationis venisse, nel grado minore, la giustizia, e nel maggiore la bontà vera e propria dell’animo, la quale ci si mostrò come puro, ossia disinteressato amore per gli altri. Dove quest’amore si fa perfetto, rende l’individuo estraneo e il suo destino affatto pari al nostro: piú in là non si può andare, non essendovi ragione di preferire l’altrui individuo al nostro. Può nondimeno la massa degli individui estranei, il cui benessere o la cui vita siano in pericolo, prevalere sui riguardi del bene individuale. In tal caso il carattere asceso all’altissima bontà e alla perfetta generosità sacrifica in tutto il suo bene al bene dei piú: cosí periva Codro, cosí Leonida, cosí Regolo, cosí Decio Mure, cosí Arnoldo di Winkeried, cosí ciascuno, che volontariamente e consapevolmente per i suoi, per la patria va a morte sicura. Alla medesima altezza sta chiunque di buon animo affronti dolore e morte per l’affermazione di ciò che all’umanità intera giova ed a buon diritto spetta, ossia per verità generali e importanti, e per l’estirpazione di grossi errori. Cosí periva Socrate, cosí Giordano Bruno. cosí trovarono tanti eroi della verità la morte sul rogo, tra le mani dei preti.
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Quel che adunque bontà, amore e nobiltà posson fare per altri, è sempre nient’altro che lenimento dei loro mali; e quel che per conseguenza può muoverle alle buone azioni e opere dell’amore, è sempre soltanto la conoscenza dell’altrui dolore, fatto comprensibile attraverso il dolore proprio, e messo a pari di questo. Ma da ciò risulta che il puro amore (agape, caritas) è, per sua natura, compassione.
A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e
rappresentazione, Laterza, Bari, 1968, vol. II, pagg. 491-492