Schopenhauer, La vera filosofia deve essere idealista

Il realismo e l’oggettivismo appartengono alla filosofa antica. Dopo Descartes e Berkeley la filosofia non può essere che idealista. Ma in questo modo la realtà diventa della natura del sogno.

 

A. Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione, II, 1

 

“Il mondo è la mia rappresentazione” – ecco un principio che, come gli assiomi di Euclide, ognuno deve riconoscere come vero, non appena lo intende (anche se non ognuno, che lo sente, lo intende). – Avere portato a consapevolezza questo principio ed aver collegato ad esso il problema del rapporto tra l’ideale e il reale, ossia del mondo della testa con il mondo fuori della testa, costituisce, insieme con il problema della libertà morale, il carattere che distingue la filosofia dei moderni. Fu infatti solo dopo che lungo i millenni s’era proceduto nel filosofare in modo oggettivo soltanto, che si scoprí che tra le molte cose, che rendono il mondo cosí misterioso e pensabile, la cosa piú vicina e prima è questa, che la sua esistenza, per quanto sia immensa e massiccia, dipende tuttavia da un unico sottile filo: e questo è la coscienza temporanea, nella quale esso esiste. Questa condizione, da cui è irrevocabilmente affetta l’esistenza del mondo, le imprime, nonostante tutta la realtà empirica, lo stampo dell’idealità e quindi del semplice fenomeno, essa deve pertanto essere riconosciuta, almeno da un lato, come affine al sogno ed essere collocata nella stessa classe del sogno. È infatti la stessa funzione del cervello che, durante il sonno, produce per incanto un mondo perfettamente oggettivo, evidente, tangibile anzi, e che, durante la veglia, si rappresenta il mondo oggettivo. Entrambi i mondi sono dunque, anche se diversi dal punto di vista della loro materia, fusi da una sola forma. Questa forma è l’intelletto, la funzione del cervello. Verosimilmente fu Cartesio il primo a raggiungere quel grado di riflessione, che quella verità fondamentale richiede, e a farne, anche se solo provvisoriamente in forma di riflessione scettica, il punto di partenza della sua filosofia. In verità Cartesio, avendo assunto come unicamente certo il cogito ergo sum e avendo posta invece provvisoriamente l’esistenza del mondo come problematica, trovò l’unico valido ed essenziale punto di partenza ed insieme il vero punto di appoggio di tutta la filosofia. Questo cioè è in maniera essenziale e indispensabile il soggettivo, la propria coscienza. Infatti solo questo è e rimane l’immediato: tutto il resto, qualunque esso sia, è trasmesso e condizionato da quello, ne è dunque dipendente. È allora giusto far cominciare la filosofia dei moderni da Cartesio, come da un padre. Procedendo su questa via, Berkeley pervenne, non molto dopo, ad un vero e proprio idealismo, ossia alla conoscenza che tutto ciò che è esteso nello spazio, cioè il mondo materiale, oggettivo in generale, esiste come tale assolutamente nella nostra rappresentazione, e che è falso, anzi assurdo, attribuirgli, in quanto tale, una esistenza fuori di ogni rappresentazione e indipendente dal soggetto conoscitivo, e assumere quindi una materia come semplicemente esistente e dotata di realtà propria. Questa validissima e profonda considerazione costituisce però anche l’intera filosofia di Berkeley: egli si è infatti esaurito in questa affermazione.

La vera filosofia deve dunque in ogni caso essere idealista: anzi deve esserlo, se vuole semplicemente essere onesta. Perché niente è piú certo, che nessuno può mai uscire da se stesso, per identificarsi immediatamente con le cose distinte da lui: bensí tutto ciò che egli conosce con sicurezza, cioè immediatamente, si trova dentro la sua coscienza. Fuori di questa, pertanto, non vi può essere una certezza immediata: i primi principi fondamentali di una scienza, però, debbono possedere tale certezza immediata. Per il punto di vista empirico delle altre scienze è convenientissimo assumere il mondo oggettivo come semplicemente esistente: non cosí per quello della filosofia, che come tale deve risalire ai principi e alle origini. Solo la coscienza è data immediatamente, perciò il fondamento della filosofia è limitato ai fatti della coscienza: ossia essa è essenzialmente idealistica. Il realismo, che trova credito presso l’intelletto incolto, perché si dà l’aria di essere aderente ai fatti, prende addirittura come punto di partenza un’ipotesi arbitraria ed è perciò un edificio di vento campato in aria, perché sorvola o rinnega il primissimo fatto: che, cioè, tutto ciò che noi conosciamo si trova nella coscienza. Infatti, che l’esistenza oggettiva delle cose sia determinata da qualche cosa che le rappresenti, e che per conseguenza il mondo oggettivo esista soltanto come rappresentazione, non è un’ipotesi, e tanto meno una sentenza arbitraria, o addirittura un paradosso posto per amore di discussione; ma è la verità piú certa e piú semplice, la cui conoscenza viene resa difficile solo dalla sua troppa semplicità, e perché tutti non hanno sufficiente riflessione, per risalire ai primi elementi della loro conoscenza delle cose. Non può mai esservi un’esistenza oggettiva assolutamente e in se stessa; anzi, una tale esistenza è addirittura impensabile: perché ciò che è oggettivo, come tale, ha sempre ed essenzialmente la sua esistenza nella coscienza di un soggetto, del quale è quindi la rappresentazione, determinata per conseguenza dalla coscienza e dalle sue forme rappresentative, che come tali appartengono al soggetto, non all’oggetto.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XIX, pagg. 602-603