Sesto Empirico insiste sull’originalità
della posizione scettica: da un lato nessuna forma di filosofia può essere
paragonata allo scetticismo, e dall’altro questo ha gli strumenti per confutare
le altre filosofie.
Sesto Empirico, Schizzi pirroniani
a) Raffronto fra lo scetticismo e le altre
filosofie (Schizzi
pirroniani, I, 210; 213-214; 219; 220-232)
1 Che
dalla filosofia eraclitea differisca l’indirizzo nostro è manifesto: e invero
Eraclito di fronte a molte cose oscure si pronuncia dogmaticamente; noi invece
no.
2 La
filosofia democritea dicono che abbia una comunanza con lo scetticismo, poiché
pare servirsi della nostra stessa materia. Che dal fatto che il miele ad alcuni
appare dolce, ad altri amaro, dicono che Democrito conclude non esistere per sé
stesso né il dolce né l’amaro e per questo pronuncia l’espressione “non piú”,
che è un’espressione scettica. Tuttavia è differente il senso con cui adoperano
quest’espressione “non piú” gli scettici e i democritei; poiché questi mettono
avanti quest’espressione nel senso che non esiste né l’una né l’altra cosa, noi
invece nel senso che ignoriamo se l’una o l’altra, oppure se né l’una né
l’altra cosa esiste di quelle che appaiono.
3 Nell’affermare
che la materia è fluttuante e che in essa sono contenute le ragioni di tutti i
fenomeni, Protagora dogmatizza, mentre si tratta di cose oscure e sulle quali
noi sospendiamo il giudizio.
4 Taluni
affermano che la filosofia accademica sia la stessa che lo scetticismo [...]. I
seguaci dell’Accademia nuova, anche se dicono che tutte le cose sono
incomprensibili, differiscono, forse, dagli scettici anche per ciò stesso, che
dicono che tutte le cose sono incomprensibili (essi infatti affermano
recisamente codesto punto, mentre lo scettico si aspetta, anche, che qualche
cosa si possa comprendere). Differiscono poi manifestamente da noi nel giudizio
dei beni e dei mali. E invero gli Accademici dicono che una cosa è bene e male,
non al modo nostro, ma con la persuasione che quello che essi dicono essere
bene, sia piú probabile del suo contrario. Altrettanto dicasi di quello che
affermano essere male. Noi invece diciamo che una cosa è bene o male, senza
credere che quello che noi diciamo sia probabile.
5 Poiché
Carneade e Clitomaco parlano di un prestar fede e di un probabile accompagnato
da una forte inclinazione, noi, invece, di un “credere”, cosí, semplicemente,
senza propensione, si differirebbe da essi anche in questo. Ma anche in ciò che
riguarda il fine differiamo dalla nuova Accademia. E invero coloro che dicono
di governarsi secondo quella setta, si servono del probabile per la vita.
Invece noi, pur seguendo le leggi e i costumi e le affezioni fisiche, viviamo
senza dogmi. Arcesilao invece, capo e iniziatore dell’Accademia di mezzo, pare a
me che partecipi proprio dei ragionamenti pirroniani, tanto da essere unico
l’indirizzo suo e il nostro. E invero né si trova che egli si pronunci intorno
all’esistenza né intorno alla non esistenza delle cose, né giudica preferibile
rispetto alla credibilità o non credibilità, una cosa o un’altra, ma in tutto
sospende il suo giudizio.
b) Lo scettico e la possibilità di confutare il
dogmatismo
(Schizzi pirroniani, I, 2-4; 10)
Rispondiamo a coloro che sempre hanno
in bocca che lo scettico non è affatto in grado né di investigare né di
intendere le loro affermazioni dogmatiche. Dicono infatti: o lo scettico
comprende quello che i dogmatici dicono, o non comprende. Se comprende, come
potrebbe aver dubbi intorno a ciò che dice di aver compreso? Se non comprende,
certo, intorno a quello che non ha compreso neppure sa parlare [...]. Coloro
che cosí parlano, rispondano ora a noi in che senso essi intendono la parola
“comprendere”: se nel senso di avere semplicemente la nozione, senza affermare
recisamente l’esistenza di ciò di cui ragioniamo, oppure nel senso di aver la
nozione e di affermare contemporaneamente l’esistenza delle cose di cui
discorriamo. Poiché se per “comprendere” intendono, nel loro discorso,
l’assentire alla rappresentazione catalettica, in quanto la rappresentazione
catalettica proviene dalla cosa esistente, con l’impronta e il sigillo conforme
alla cosa esistente, quale non potrebbe derivare da una cosa non esistente, in
tal caso nemmeno essi vorranno probabilmente non essere in grado di investigare
intorno a ciò che non hanno compreso in sí fatta maniera [...]. Se invece
diranno che non s’ha da intendere cosí la comprensione di ciò che forma
l’oggetto della ricerca, ma come una nozione semplicemente, non è impossibile a
coloro che sospendono il loro giudizio intorno all’esistenza delle cose oscure,
il ricercare. Infatti lo scettico non è escluso, penso, dalla nozione che
deriva e da ciò che impressiona i suoi sensi e dai ragionamenti che gli
appaiono evidenti, quando essa nozione non induca in modo assoluto l’esistenza
di ciò che forma oggetto della nozione.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1966, vol. I, pagg. 568-569 e 567)