Georg
Simmel (1858-1918) è noto soprattutto per la sua elaborazione concettuale della
“filosofia della vita”. Lo spirito vitale ha di fronte a sé la non-vita (la
staticità del reale) come ostacolo da superare. La “filosofia della vita” deve
prendere atto dell’inadeguatezza delle “forme” e quindi dell’impossibilità di
qualsiasi comprensione sistematica del suo oggetto di studio. In questa lettura
egli afferma che la vita è essenzialmente movimento e si può definire come piú-vita
e piú-che-vita. Essa tende a realizzarsi in forme che sono sempre
insoddisfacenti e quindi da superare.
G. Simmel, Lebensanschauung, [La
concezione della vita] Dunker-Humblot, München und Leipzig, 1918, pagg.
20-24; trad. it. P. Rossi, in Lo storicismo contemporaneo, Loescher,
Torino, 1969, pagg. 85-87
La vita ha due definizioni, tra loro complementari essa è piú-vita ed è piú-che-vita. Questo “piú” non si aggiunge per accidens à una vita concepita come propriamente stabile nella sua quantità; al contrario, la vita è il movimento che in ognuna delle sue parti – anche quando questa parte, raffrontata con le altre, è piú povera e quindi inferiore – include tuttavia in sé a ogni momento qualcosa per trasformarlo nella sua vita. Quale che sia la sua misura assoluta, la vita può esistere solamente in quanto è piú-vita; non appena la vita in generale sussiste, essa produce qualcosa di vivente, poiché già la conservazione fisiologica è una specie di costante riproduzione questa non è una funzione che la vita adempie accanto ad altre, ma la vita è tale proprio in quanto fa ciò. E se la morte – come ritengo – inerisce fin dall’inizio alla vita, anche questo fatto costituisce un auto-trascendimento della vita [...] La vita spirituale non può – come si è accennato – esprimersi in altra maniera che in qualche forma, e cioè in parole o in atti, in prodotti o in contenuti di qualsiasi genere, nei quali si attualizza l’energia psichica. Ma queste configurazioni dei suoi prodotti hanno già, nel momento del loro sorgere, un proprio significato oggettivo, una stabilità e una logica interna, per cui essi si contrappongono alla vita che li ha formati, poiché questa è un procedere ininterrotto che va oltre a questa e a quella forma determinata, e in genere a ogni forma in quanto è una forma. E già in virtú di questa contrapposizione di principio la vita non può restringersi in una forma, ma deve andare al di là di ogni configurazione a cui sia pervenuta per cercarne un’altra, ripetendo ogni volta questo gioco della necessaria formazione e della necessaria insoddisfazione per tale formazione. Proprio in quanto è vita, la vita esige la forma, e per lo stesso motivo essa esige piú che la forma. La vita è affetta dalla contraddizione di potersi realizzare solamente in forme e di non potersi esaurire in queste forme, dovendo superare e rompere ogni forma che ha creato [...]
Come il trascendimento della vita rispetto alla sua forma attualmente limitata è, sul piano a essa proprio, piú-vita, e tuttavia costituisce l’essenza immediata e inevitabile della vita stessa, cosí il suo trascendimento sul piano dei contenuti oggettivi – cioè del significato logicamente autonomo, non piú vitale – è piú-che-vita, la quale è del tutto inscindibile da essa, e costituisce quell’essenza medesima della vita spirituale. Ciò non significa in generale se non che la vita non è semplicemente vita, per quanto essa non sia tuttavia anche nient’altro, ma che comprende come concetto piú ampio – e anzi il piú ampio – e quindi, per cosí dire, come vita l’assoluta, l’antitesi relativa tra il proprio senso ristretto e il proprio contenuto aperto alla vita.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pagg. 358-359