Skinner, Le cause del comportamento

Burrhus Frederik Skinner (Susquehanna, Pensylvania. 1904-Cambridge, Massachisset 1990) sostiene che il comportamento deve essere oggetto di una indagine scientifica che ne individui le cause. Dare una spiegazione del comportamento presupponendo che a provocarlo siano sentimenti, sensazioni, stati d’animo e, in genere, “eventi mentali”, non può rispondere a criteri scientifici e oggettivi perché questi fattori non sono osservabili e non possono essere oggetto di verifica sperimentale. È necessario allora evitare il “mentalismo” e considerare solo i dati osservabili, dirigendo l’attenzione sul ruolo dell’ambiente. È questo il piano del “behaviorismo metodologico”, il quale però ha lasciato aperto il problema della effettiva esistenza di processi mentali che non possono essere studiati oggettivamente ma che non per questo possono essere ignorati: il “behaviorismo radicale” di Skinner cerca di dare anche a questi eventi una spiegazione alternativa a quella mentalistica riconducendo anch’essi a “comportamenti” da porre in relazione con l’ambiente: Diverrà cosí possibile estendere anche a questi aspetti l’indagine sperimentale, il controllo e la previsione che sono propri della scienza. Lo scritto di Skinner da cui sono tratte queste pagine è stato pubblicato nel 1974.

 

B. F. Skinner, La scienza del comportamento

 

Perché la gente si comporta come si comporta? Probabilmente questa è stata agli inizi una domanda di carattere pratico: come può una persona prevedere e di conseguenza prepararsi a ciò che un’altra persona farà? Successivamente divenne pratica in un altro senso: come può un’altra persona essere indotta a comportarsi in un determinato modo? Alla fine diventò una questione di capire e spiegare il comportamento. La si poteva sempre ridurre a una domanda circa le cause.

Noi tendiamo a dire, spesso avventatamente, che se una cosa segue un’altra, probabilmente è stata causata da questa; in base all’antico principio del post hoc, ergo propter hoc (dopo di ciò, pertanto a causa di ciò). Fra i molti esempi che si possono trovare per la spiegazione del comportamento umano, uno qui è particolarmente importante. La persona che meglio conosciamo è noi stessi; molte delle cose che osserviamo subito prima di comportarci si verificano all’interno del nostro corpo ed è facile prenderle come le cause del nostro comportamento. Se ci viene chiesto perché abbiamo parlato bruscamente a un amico, può darsi che rispondiamo: “Perché mi ha fatto andare in collera”. È esatto che provavamo collera prima oppure mentre parlavamo, e cosí giudichiamo la nostra collera come la causa della nostra risposta. Se ci viene chiesto perché non ceniamo forse risponderemo: “Perché non ho fame”. Noi spesso abbiamo fame quando mangiamo e da ciò concludiamo che mangiamo perché abbiamo fame. Se ci chiedono perché andiamo a nuotare, è probabile che rispondiamo: “Perché ho voglia di nuotare”. Sembra che diciamo: “Quando mi sono sentito cosí prima, mi sono comportato in questo e quel modo”. Sentimenti e sensazioni si verificano esattamente al momento giusto per servire come cause di comportamento e come tali sono stati citati per secoli. Noi presupponiamo che gli altri, quando si comportano come ci comportiamo noi, sentano come sentiamo noi.

Ma dove sono questi sentimenti e stati d’animo? Di quale sostanza sono fatti? La risposta tradizionale è che essi sono collocati in un mondo di dimensioni non fisiche detto la mente e che sono mentali.

A questo punto però sorge un altro interrogativo: come può un evento mentale causare o essere causato da un evento fisico? Se vogliamo predire ciò che una persona farà, come possiamo scoprire le cause mentali del suo comportamento e come possiamo provocare i sentimenti e gli stati d’animo che lo indurranno a comportarsi in un determinato modo? Supponiamo, per esempio, che noi vogliamo persuadere un bambino a mangiare un cibo nutriente ma non molto appetitoso. Ci limitiamo a far sí ch’egli non abbia a disposizione altro cibo e alla fine il bambino mangerà. Sembra che privandolo di cibo (un evento fisico) noi gli abbiamo dato una sensazione di fame (un evento mentale) e che avendo provato fame abbia mangiato il cibo nutriente (un evento fisico). Ma come ha potuto l’atto fisico della privazione portare al senso di fame e come ha potuto questa sensazione muovere i muscoli interessati all’ingestione? Vi sono numerose altre domande sconcertanti di questo tipo. Come possiamo risolverle?

La prassi piú comune consiste, io credo, semplicemente nell’ignorarle. È possibile credere che il comportamento esprima sensazioni e sentimenti, prevedere ciò che una persona farà supponendo o chiedendole come si sente e mutare l’ambiente nella speranza di mutare sentimenti e sensazioni, prestando contemporaneamente poca o nessuna attenzione a problemi teorici. Coloro che non si sentono del tutto a loro agio nei riguardi di questa strategia si rifugiano a volte nella fisiologia. Alla fine, si dice, si scoprirà che la mente ha una base fisica. Come si è recentemente espresso un neurologo. “Tutti ora accettano il fatto che il cervello fornisce la base fisica del pensiero umano”. Freud credeva che alla fine si sarebbe scoperto che il complicatissimo apparato mentale del cervello fosse fisiologico e i primi psicologi introspettivi definivano la loro disciplina psicologia fisiologica. La teoria della conoscenza detta fisicalismo sostiene che quando noi analizziamo i nostri sentimenti o proviamo sensazioni guardiamo a stati o ad attività del nostro cervello. Ma le difficoltà maggiori sono di ordine pratico: non possiamo prevedere che cosa una persona farà osservando direttamente i suoi sentimenti e sensazioni o il suo sistema nervoso, né possiamo cambiare il suo comportamento cambiando la sua mente o il suo cervello. In ogni caso, tuttavia, non pare che si stia molto peggio per il fatto di ignorare problemi filosofici.

 

Strutturalismo

 

Una strategia piú esplicita consiste nell’abbandonare la ricerca delle cause e descrivere semplicemente ciò che la gente fa. Gli antropologi possono riferire di usanze e abitudini, gli scienziati politici possono seguire la linea del “behaviorismo” e registrare l’azione politica, gli economisti possono ammassare statistiche su ciò che la gente compra e vende, affitta e noleggia, risparmia e spende, fabbrica e consuma e gli psicologi possono saggiare atteggiamenti e opinioni. Tutto ciò può essere fatto tramite l’osservazione diretta, magari con l’ausilio di sistemi registratori e con interviste, questionari, tests e sondaggi di opinione. Lo studio della letteratura, dell’arte e della musica si limita spesso alle forme di questi prodotti del comportamento umano e i glottologi possono limitarsi alla fonetica, alla semantica e alla sintassi. È possibile un tipo di predizione in base al principio che ciò che la gente ha fatto molte volte, molto probabilmente lo farà di nuovo; gli uomini seguono consuetudini perché è consuetudinario seguirle, esibiscono abitudini di voto o di acquisto e cosí via. La scoperta di principi organizzativi nella struttura del comportamento – come gli “universali” nelle culture o nei linguaggi, i modelli archetipi in letteratura o i tipi psicologici – possono rendere possibile la previsione di esempi di comportamento che non si sono precedentemente verificati.

La struttura od organizzazione del comportamento può anche essere studiata come una funzione del tempo o dell’età, come nello sviluppo del comportamento verbale di un bambino o delle sue strategie per risolvere problemi, nella sequenza degli stadi attraverso i quali un individuo passa lungo l’arco dall’infanzia alla maturità, o nelle fasi attraverso le quali una cultura si evolve. La storia pone l’accento sui cambiamenti che si verificano nel tempo e, se si possono scoprire modelli di sviluppo o di crescita, questi possono anche dimostrarsi utili nella predizione di eventi futuri.

Il controllo è un’altra questione. Evitare il mentalismo (o lo “psicologismo” rifiutandosi di guardare le cause, esige il suo prezzo. Lo strutturalismo e l’evolutivismo non ci dicono perché si seguono consuetudini, perché la gente vota come vota o manifesta atteggiamenti o aspetti di carattere, o perché linguaggi diversi hanno tratti comuni. Il tempo o l’età non possono essere: manipolati; possiamo solo attendere che una persona o una cultura passi attraverso un periodo evolutivo.

Nella pratica l’ignoranza sistematica di informazioni utili ha significato di solito che i dati forniti dallo strutturalista sono influenzati da altri; per esempio, dai decisionisti i quali riescono in un modo o nell’altro a tener conto delle cause del comportamento. Nella teoria, ha significato la sopravvivenza di concetti mentalistici. Quando sono richieste spiegazioni, si attribuiscono le pratiche culturali primitive alla “mente del selvaggio”, l’acquisizione del linguaggio “a regole innate di grammatica”, lo sviluppo di strategie solutrici di problemi alla “crescita della mente” e cosí via. In breve, lo strutturalismo ci dice come la gente si comporta, ma getta scarsissima luce sul perché si comporta come si comporta. Non ha alcuna risposta alla domanda con la quale abbiamo iniziato.

 

Behaviorismo metodologico

 

Il problema mentalistico può essere evitato andando direttamente alle cause fisiche anteriori senza passare dai sentimenti intermedi o stati d’animo. Il modo piú rapido per far questo consiste nel limitarsi a ciò che uno dei primi behavioristi, Max Meyer, chiamava la “psicologia dell’altro”: considerare soltanto quei fatti che possono essere oggettivamente osservati nel comportamento di una persona relativamente alla sua precedente vicenda ambientale. Se tutti i collegamenti sono legittimi, non si perde nulla trascurando un ipotetico legame non fisico. Pertanto, se sappiamo che un bambino non mangia da un pezzo e se sappiamo che di conseguenza ha fame e che perché ha fame mangia, allora sappiamo che se non mangia da un pezzo, mangerà. E se, rendendo inaccessibile ogni altro cibo, lo costringiamo a sentirsi affamato e se, perché si sente affamato, mangia un cibo particolare, allora ne deve conseguire per forza che rendendo inaccessibile ogni altro cibo, lo induciamo a mangiare quel cibo particolare.

Analogamente, se determinati modi di insegnare a una persona conducono questa persona a notare piccolissime differenze nelle proprie “sensazioni” e, vedendo queste differenze, essa è in grado di classificare correttamente oggetti colorati, ne dovrebbe conseguire che noi possiamo usare questi modi d’insegnamento per far sí che la persona in questione classifichi correttamente gli oggetti. Oppure, per prendere ancora un altro esempio, se determinate circostanze nella vicenda di un bianco generano sentimenti di aggressività verso i neri, e se questi sentimenti lo fanno agire in modo aggressivo, basta allora che noi ci occupiamo del rapporto fra le circostanze della sua vicenda e il suo comportamento aggressivo.

Non vi è naturalmente nulla di nuovo nel tentar di predire o di controllare il comportamento osservando o manipolando eventi pubblici precedenti. Gli strutturalisti e gli evolutivisti non hanno completamente ignorato le vicende dei loro soggetti e gli storici e i biografi hanno indagato sulle influenze del clima, della cultura, delle persone e degli avvenimenti. Si sono usate tecniche pratiche per prevedere e controllare il comportamento con scarsa preoccupazione degli stati mentali. Nondimeno, per molti secoli si è avuta una scarsissima indagine sistematica circa il ruolo dell’ambiente fisico, anche se si sono scritti centinaia di volumi altamente tecnici circa l’intelletto umano e la vita della mente. Un programma di behaviorismo metodologico è divenuto plausibile solo quando si sono incominciati a fare progressi nell’osservazione scientifica del comportamento, poiché solo allora è stato possibile scavalcare la possente influenza del mentalismo nel deviare l’indagine dal ruolo dell’ambiente.

Le spiegazioni mentalistiche addormentano la curiosità e portano l’indagine a un punto fermo. È talmente facile osservare sentimenti e stati d’animo in un momento e in un luogo che li fa sembrare cause, che non siamo inclini a indagare ulteriormente. Quando però s’incomincia a studiare l’ambiente, non si può piú negare la sua importanza.

Il behaviorismo metodologico potrebbe essere giudicato come una versione psicologica del positivismo logico od operazionismo, ma questi si occupano di problemi diversi. Il positivismo logico od operazionismo sostiene che poiché non vi sono due osservatori che si trovino d’accordo su ciò che accade nel mondo della mente, di conseguenza, dal punto di vista della scienza fisica, gli eventi mentali sono “inosservabili”; non può esservi verità per accordo e noi dobbiamo abbandonare l’esame degli eventi mentali per volgerci invece al come sono studiati. Non possiamo misurare sensazioni e percezioni come tali, però possiamo misurare la capacità dell’individuo a discriminare tra gli stimoli e allora il concetto di sensazione o percezione può essere ridotto all’operazione di discriminazione.

I positivisti logici avevano la loro versione dell’“altro”. Essi sostenevano che un robot che si comportasse esattamente come un individuo, reagendo agli stimoli nello stesso modo, mutando il proprio comportamento come risultato delle stesse operazioni, sarebbe stato indistinguibile da un individuo reale, pur non avendo né sentimenti, né sensazioni, né idee. Se si potesse costruire un robot del genere, ciò dimostrerebbe che nessuna delle supposte manifestazioni della vita mentale richiederebbe una spiegazione mentalistica.

Relativamente agli scopi che si era prefisso, il behaviorismo metodologico ha avuto fortuna. Aveva fatto piazza pulita di molti dei problemi sollevati dal mentalismo e si era affrancato per lavorare sui propri progetti senza digressioni filosofiche. Dirigendo l’attenzione agli antecedenti genetici e ambientali, controbilanciava una concentrazione arbitraria su una vita interiore. Ci ha reso liberi di studiare il comportamento di specie inferiori, dove l’introspezione (considerata allora come esclusivamente umana) non era fattibile e ci ha permesso di esplorare analogie e diversità tra uomo e altre specie. Alcuni concetti precedentemente associati con eventi privati furono formulati in altri modi.

Restavano però dei problemi. La maggior parte dei behavioristi metodologici, pur ritenendoli immeritevoli di considerazione, ammetteva l’esistenza di eventi mentali. Intendevano veramente dire con ciò che non avevano importanza, che lo stadio intermedio nella sequenza trifase fisico-mentale-fisico non contribuiva a nulla; in altre parole, che sentimenti e stati d’animo erano semplicemente epifenomeni? Non era la prima volta che ci si era espressi cosí. L’opinione che un mondo puramente fisico poteva essere autosufficiente era stata avanzata secoli prima, nella dottrina del parallelismo psicofisico, la quale sosteneva che esistevano due mondi – uno della mente e uno della materia – e che nessuno dei due aveva alcun effetto sull’altro. La dimostrazione di Freud dell’inconscio, in cui una consapevolezza di sentimenti o stati d’animo sembrava superflua, puntava nella stessa direzione.

Ma che dire di altre prove? L’argomentazione tradizionale post hoc, ergo propter hoc è del tutto errata? I sentimenti e le sensazioni che sperimentiamo immediatamente prima di comportarci non hanno veramente alcuna relazione con il nostro comportamento? Come la mettiamo con il potere della mente sulla materia nelle medicina psicosomatica? Come spiegare la psicofisica e il rapporto matematico fra le grandezze degli stimoli e delle sensazioni? E il fiume della coscienza? E i processi intrapsichici della psichiatria, in cui sentimenti e sensazioni producono o sopprimono altri sentimenti e sensazioni e i ricordi evocano o mascherano altri ricordi? Che dire dei processi conoscitivi dei quali si afferma che spiegano la percezione, il pensare, la costruzione delle frasi, la creazione artistica? Tutto questo deve essere ignorato perché non può essere studiato oggettivamente?

 

Behaviorismo radicale

 

L’affermazione che i behavioristi negano l’esistenza di sentimenti, sensazioni, idee e di altri aspetti della vita mentale esige una decisa chiarificazione. Il behaviorismo metodologico e alcune versioni del positivismo logico avevano messo al bando gli eventi privati in quanto non poteva esservi alcun accordo pubblico sulla loro validità. L’introspezione non poteva essere accettata come pratica scientifica e di conseguenza fu attaccata la psicologia di studiosi come Wilhelm Wundt ed Edward B. Titchener. Tuttavia il behaviorismo radicale assume una linea di condotta diversa. Esso non nega la possibilità dell’auto-osservazione o dell’autoconoscenza o la sua possibile utilità, ma pone in discussione la natura di ciò che si sente o si osserva e di conseguenza si conosce. Restituisce valore all’introspezione, ma non a ciò che i filosofi e gli psicologi introspettivi avevano creduto di “spectare” e solleva il problema di fino a che punto un individuo possa effettivamente osservare il proprio corpo.

Il mentalismo aveva distolto l’attenzione dagli eventi antecedenti esterni che avrebbero potuto spiegare il comportamento, con la parvenza di fornire una spiegazione alternativa. Il behaviorismo metodologico fece esattamente il contrario: occupandosi esclusivamente di eventi antecedenti esterni, distolse l’attenzione dall’auto-osservazione e dall’autoconoscenza. Il behaviorismo radicale riporta un certo equilibrio. Esso non insiste sulla verità mediante accordo e può pertanto considerare eventi che si svolgono nel mondo privato entro la pelle. Non definisce questi eventi inosservabili e non li respinge come soggettivi. Pone semplicemente in discussione la natura dell’oggetto osservato e l’attendibilità delle osservazioni.

La posizione può essere definita come segue: ciò che è sentito o introspettivamente osservato non è un mondo non fisico della coscienza, una mente o una vita mentale, bensí il corpo dell’osservatore. Questo non significa, come dimostrerò in seguito, che l’introspezione sia una specie di ricerca fisiologica, e neppure significa (e questo è il nocciolo dell’argomento) che ciò che è sentito o introspettivamente osservato rappresenti le cause del comportamento. Un organismo si comporta come si comporta a causa della sua struttura normale, ma la maggior parte di questa è fuori della portata dell’introspezione. Per il momento dobbiamo accontentarci, come insiste il behaviorista metodologico, delle vicende genetiche e ambientali di un individuo. Quanto è introspettivamente osservato è costituito da alcuni prodotti collaterali di queste vicende.

L’ambiente ha portato il suo primo grande contributo durante l’evoluzione della specie, ma esso esercita un diverso tipo di effetto durante l’arco della vita dell’individuo e la combinazione dei due effetti è il comportamento che osserviamo in qualsiasi momento determinato. Tutte le informazioni accessibili circa l’uno o l’altro contributo aiutano a predire e controllare il comportamento umano e a interpretarlo nella vita quotidiana. Il comportamento può essere mutato per quanto può essere mutato l’uno o l’altro.

La nostra crescente conoscenza del controllo esercitato dall’ambiente rende possibile esaminare l’effetto del mondo entro la pelle e la natura dell’autoconoscenza. Rende altresí possibile interpretare una vasta gamma di espressioni mentalistiche. Per esempio, possiamo osservare quegli aspetti del comportamento che hanno portato a parlare di un atto di volontà, di un senso di scopo, di esperienza in quanto distinta dalla realtà, di idee innate o acquisite, di ricordi, di significati, della conoscenza personale dello scienziato e di centinaia di altre cose o eventi mentalistici. Alcuni possono essere “tradotti in comportamento”, altri scartati come inutili o privi di significato.

In questo modo noi ripariamo il maggior danno prodotto dal mentalismo. Quando ciò che una persona fa viene attribuito a ciò che avviene nell’interno di questa persona, l’indagine finisce. Perché spiegare la spiegazione? Per duemilacinquecento anni gli uomini si sono preoccupati dei sentimenti e della vita mentale, ma solo di recente hanno dimostrato un certo interesse a un’analisi piú precisa del ruolo dell’ambiente. L’ignoranza di questo ruolo ha portato in primo luogo a finzioni mentali ed è stata perpetuata dalle pratiche esplicative cui tali finzioni hanno dato origine.

 

Giuseppe Mucciarelli, La psicologia nel sentiero contemporaneo, G. D’Anna, Messina-Firenze, 1981, pagg. 60-68