Smith osserva che il denaro fa di
ogni uomo un mercante e di ogni società una società di mercanti. Egli ricorda
poi al lettore la lunga storia dello scambio dei prodotti in eccedenza:
dall'età degli scambi in natura fino all'uso della moneta in metallo e di
carta. Segue la distinzione fra “valore d'uso” e “valore di scambio”.
A. Smith, Ricerca sopra la
natura e le cause delle ricchezze delle nazioni
Quando la divisione del lavoro è
stata una volta generalmente stabilita, non è che una piccolissima parte dei
bisogni d'un uomo, cui egli con il prodotto del suo proprio lavoro può
provvedere. Egli provvede alla piú gran parte di quelli [bisogni] con il
cambiare la parte superflua del proprio prodotto con le parti del prodotto del
lavoro degli altri uomini, le quali loro similmente sopravanzano, e secondo le
sue necessità. Ogni uomo cosí vive con il cambio, e in certo modo diviene
mercante, e la società diviene ciò che propriamente è, una società commerciale.
Ma quando la divisione del lavoro inizialmente ebbe luogo, questo
potere di cambiare dovette frequentemente essere stato moltissimo ostacolato
nelle sue operazioni. Un uomo, noi supporremo, ha d'una certa mercanzia piú di
quanto gliene bisogna, un altro ne ha meno. Il primo perciò di buona voglia
desidererebbe vendere, ed il secondo comprare una parte di tale superfluità. Ma
se quest'ultimo non avesse qualcosa da dare, di cui il primo non abbisognasse,
il cambio tra loro non si potrebbe effettuare. Il macellaio ha nella sua
bottega piú carne che egli non può consumare, e il birraio e il fornaio
vorrebbero ambedue comprarne una parte. Ma costoro non hanno da offrire in
cambio, che i differenti prodotti dei loro rispettivi mestieri, e il macellaio
è già provvisto di tutto il pane e di tutta la birra che gli servono. Nessun
cambio in questo caso può effettuarsi tra loro. Egli non può essere loro
mercante, né essi possono essere suoi avventori, e cosí tutti e tre non possono
prestarsi mutuamente alcun servigio. Ad ovviare l'inconveniente di queste
condizioni, ogni uomo prudente in ogni periodo della società, dopo che la
divisione del lavoro fu primieramente stabilita, dovette naturalmente
ingegnarsi di maneggiare in modo i suoi affari, da avere in ogni tempo presso
di sé, oltre il particolare prodotto della sua propria industria, una certa
quantità d'alcuna mercanzia o d'altro, tali che secondo il suo giudizio pochi
individui probabilmente volessero rifiutare in cambio dei prodotti della loro
industria.
Molte e diverse mercanzie probabilmente
furono e pensate ed impiegate per questo proposito. Nelle rozze età della
società il bestiame si dice essere stato il comune strumento del commercio; e
benché dovesse essere stato pieno di molti inconvenienti, pure nei tempi
antichi noi troviamo cose frequentemente valutate secondo il numero del
bestiame, che era stato dato in cambio di loro. L'armatura di Diomede, dice
Omero, costa solamente nove buoi, ma quella di Glauco costa cento. Il sale si
dice essere stato comune strumento di commercio e di cambi in Abissinia; una
specie di conchiglie in alcune parti della costa d'India; merluzzo secco a
Terranuova; tabacco in Virginia; zucchero in alcune colonie dell'India
occidentale; pelli, o cuoio conciato in alcuni altri paesi; e v'é al giorno d'oggi
un villaggio in Scozia, ove non è raro, come si dice, che un operaio porti dei
chiodi invece di moneta alla bottega d'un fornaio.
In tutti i paesi intanto gli
uomini sembra alla fine essere stati determinati da irresistibili ragioni a
dare la preferenza, per questo impiego, ai metalli sopra ogni altra mercanzia.
[...] La moneta è divenuta in
tutte le nazioni incivilite l'universale strumento di commercio, con
l'intervento del quale i beni d'ogni genere sono comprati e venduti, o cambiati
per altri.
Ora io procederò a esaminare
quali sono le regole che gli uomini naturalmente assumono nel cambiare dei beni
con la moneta o con altri beni. Queste regole determinano ciò che può chiamarsi
il valore relativo o cambiabile dei beni.
È da osservarsi che la parola valore
ha due differenti significati e alle volte esprime l'utilità di qualche
particolare oggetto e alle volte il potere, che il possesso di quell'oggetto
apporta, d'acquistare altri beni; l'uno può essere chiamato “valore d'uso” e
l'altro “valore di scambio”. Le cose che hanno il piú grande valore d'uso hanno
frequentemente poco o nessun valore di scambio; e al contrario quelle che hanno
il piú gran valore di scambio hanno frequentemente poco o nessun valore d'uso.
Nessuna cosa è piú utile che l'acqua, ma essa difficilmente fa acquistare
qualche cosa, poiché difficilmente alcuna cosa può aversi in suo cambio. Un
diamante al contrario ha difficilmente alcun valore d'uso, ma una grandissima
quantità di altri beni possono frequentemente aversi in suo cambio.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1968, vol. XV, pagg. 822-824)