Nell’Apologia di Socrate, scritta da
Platone, leggiamo come Socrate spiegò pubblicamente la propria concezione
filosofica: esortare i propri concittadini alla Virtú e alla Verità,
utilizzando come strumento il dialogo. Dalle parole di Socrate emerge anche la
componente religiosa della sua vocazione, su cui si è molto discusso.
Platone, Apologia, 29 c–30 c;
30 e-32 a
1 [29 b] [...] Cosicché, anche se voi
ora mi [c] lasciaste andare, contro il volere di Ànito il quale diceva
che o non bisognava fin da principio io venissi qui in tribunale o, una volta
che c’ero venuto, non era possibile non condannarmi a morte, perché, se
riuscivo a sfuggire alla condanna, diceva, da quel momento i vostri figlioli,
seguitando a praticare gl’insegnamenti di Socrate, sarebbero stati tutti quanti
senza piú rimedio guasti e corrotti; – se voi, a questo argomentare di Ànito,
diceste a me cosí: “O Socrate, noi non vogliamo ora dar retta ad Ànito e ti
lasciamo andare, a patto però che tu non perda piú il tuo tempo in codeste
ricerche, né piú ti occupi di filosofia; e se sarai còlto a far tuttavia di
codeste cose ne morirai”; [d] – se dunque, come dicevo, voi a questi
patti mi lasciaste andare, ebbene, io vi risponderei cosí: “O miei concittadini
di Atene, io vi sono obbligato e vi amo; ma obbedirò piuttosto al dio che a
voi; e finché io abbia respiro, e finché io ne sia capace, non cesserò mai di
filosofare e di esortarvi e ammonirvi, chiunque io incontri di voi e sempre, e
parlandogli al mio solito modo, cosí: – O tu che sei il migliore degli uomini,
tu che sei Ateniese, cittadino della piú grande città e piú rinomata per
sapienza e potenza, non ti vergogni tu a darti pensiero delle ricchezze [e]
per ammassarne quante piú puoi, e della fama e degli onori; e invece della
intelligenza e della verità e della tua anima, perché ella diventi quanto è
possibile ottima, non ti dài affatto né pensiero né cura?”. E se taluno di voi
dirà che non è vero, e sosterrà che se ne prende cura, io non lo lascerò andare
senz’altro, né me ne anderò io, ma sí lo interrogherò, lo studierò, lo
confuterò; e se mi paia ch’egli non possegga virtú ma solo dica di possederla,
io lo svergognerò dimostrandogli che le cose di maggior [30 a] pregio
egli tiene a vile e tiene in pregio le cose vili. E questo io lo farò a
chiunque mi càpiti, a giovani e a vecchi, a forestieri e a cittadini; e piú ai
cittadini, a voi, dico, che mi siete piú strettamente congiunti. Ché questo,
voi lo sapete bene, è l’ordine del dio; e io sono persuaso non ci sia per voi
maggior bene nella città di questa mia obbedienza al dio.
2 Né altro in verità io faccio con questo
mio andare attorno se non persuadere voi, e giovani e vecchi, che non del corpo
dovete aver cura né delle ricchezze né [b] di alcun’altra cosa prima e
piú che dell’anima, sí che ella diventi ottima e virtuosissima; e che non dalle
ricchezze nasce virtú, ma dalla virtú nascono ricchezze e tutte le altre cose
che sono beni per gli uomini, cosí ai cittadini singolarmente come allo stato.
Se dunque parlando io in questo modo corrompo i giovani, sta bene, vorrà dire
che queste mie parole sono rovinose; ma se taluno afferma che io parlo
diversamente e non cosí, costui dice cosa insensata. Per tutto ciò, lasciate
che io ve lo dica, o Ateniesi, o diate retta ad Anito o non gli diate retta, o
mi assolviate o non mi assolviate, siate in ogni modo persuasi che io non farò
mai altrimenti che cosí, neanche se non una [c] soltanto ma piú volte
dovessi morire [...].
3 [30 e] Che se voi ucciderete me,
non sarà facile troviate un altro al pari di me il quale – non vi sembri
risibile il paragone – realmente sia stato posto dal dio ai fianchi della città
come ai fianchi di un cavallo grande e di buona razza, ma per la sua stessa
grandezza un poco tardo e bisognoso di essere stimolato, un tafàno. Cosí
appunto mi pare che il dio abbia posto me ai fianchi della città: né mai io
cesso di stimolarvi, di persuadervi, di rampognarvi, uno per uno, [31 a]
standovi addosso tutto il giorno, dovunque. Io dico dunque che un altro come me
non vi nascerà facilmente, o cittadini: e perciò, se mi volete dare ascolto, mi
risparmierete. Ma voi forse siete infastiditi meco come chi stia per assopirsi
se uno lo sveglia, e tirate colpi; e cosí per obbedienza ad Anito, mi condannerete
a morte tranquillamente, e poi tutto il resto della vostra vita, seguiterete a
dormire se il dio non si curi di voi mandandovi qualchedun altro in vece mia. E
che sia proprio io persona siffatta che il dio [b] abbia scelta per dare
in dono alla città, potrete riconoscere anche da questo: che non pare umano io
abbia trascurati tutti gli affari miei e sopporti ormai da tanti anni che siano
trascurate le cose di casa mia, e sempre invece io badi alle vostre, standovi
da presso, un per uno, come farebbe un padre o un fratello maggiore, per
persuadervi a seguire la virtú. Che se da questa vita io avessi qualche
profitto, e per i consigli che do ricevessi qualche compenso, allora una
ragione ci sarebbe: ma già lo vedete anche voi ora che gli accusatori miei, i
quali mi hanno accusato cosí sfrontatamente di tante altre colpe, di questa non
[c] hanno avuto mai la sfrontatezza di accusarmi, portandovi davanti un
solo testimone a provare che anche una sola volta io mi sia fatto pagare un
compenso o l’abbia domandato. E il testimone sicuro ch’è vero quello che dico
posso portarvelo io: la mia povertà.
4 Forse potrà parere strano che io vada
dattorno e mi dia tanto da fare per dar consigli a questo e a quello in
privato, e se poi si tratta di dare consigli in pubblico alla città e di salire
su la tribuna per parlare al popolo, allora mi manchi il coraggio. E la ragione
di questo me l’avete sentita dire piú volte e in piú luoghi, che c’è dentro [d]
me non so che spirito divino e demoniaco; quello appunto di cui anche Melèto,
scherzandoci sopra, scrisse nell’atto di accusa. Ed è come una voce che io ho
in me fino da fanciullo; la quale, ogni volta che mi si fa sentire, sempre mi
dissuade da cosa che io sia per fare, e non mai ad alcuna mi persuade. È questa
che mi vieta di occuparmi di cose dello stato; e mi pare faccia ottimamente a
vietarmelo. Voi lo sapete bene, o Ateniesi: che se da un pezzo io mi fossi
messo a occuparmi degli affari dello stato, da [e] un pezzo anche sarei
morto e non avrei fatto cosa utile nessuna né a voi né a me. E voi non
sdegnatevi se parlo cosí: è la verità. Non c’è uomo che possa salvarsi quando
si opponga sinceramente non dico a voi ma a una qualunque altra moltitudine, e
cerchi di impedire che troppe volte nella città si commettano ingiustizie e si
trasgredisca alle [32 a] leggi; e anzi è necessario che chi davvero
combatte in difesa del giusto, se voglia campare da morte anche per breve
tempo, viva da privato e non eserciti pubblici uffici. [...]
(Platone, Opere,
vol. I, Laterza, Bari, 1967, pagg. 50-53)