Vivere esclusivamente secondo il
diritto naturale significa accettare come naturale il fatto che coloro che
hanno forza maggiore possano recare danno a quanti hanno forza minore; significa
accettare gli Affetti, cioè l’inimicizia, l’odio e l’inganno. L’accettazione è
però “passione”, e come tale l’uomo può superarla - senza violare la legge di
Natura, anzi in accordo con essa - attraverso l’uso della ragione: se per
l’individuo la liberazione dalle passioni passa per la consapevolezza, nei
rapporti fra individui passa invece per un “patto” che mira “a frenare gli
appetiti in quanto inducono a produrre il danno altrui [...] a difendere il
diritto altrui considerandolo come il proprio”.
B. Spinoza, Trattato
teologico-politico, cap. XVI
D’altra parte, nessuno può
mettere in dubbio che sia della piú grande utilità, per gli uomini, il vivere
secondo regole e ben stabiliti precetti della nostra ragione i quali sono
rivolti, come si è detto, al nostro effettivo vantaggio. Inoltre non c’è
nessuno che non desideri vivere in sicurezza e senza timore, per quanto almeno
è possibile: il che però non può aver luogo che in misura minima, fin tanto che
è data licenza a ciascuno di fare tutto ciò che voglia a suo piacimento e
fintanto che non si riconosca alla ragione un diritto maggiore che all’odio e
all’ira. In mezzo a inimicizie, odii, collere e frodi non c’è nessuno che non
viva in preda all’ansietà e che perciò non procuri, per quanto è in suo potere,
di evitare questi mali. Se poi vogliamo riflettere sul fatto che
necessariamente gli uomini vivono in condizioni misere quando manchi l’aiuto
reciproco e il rispetto delle norme razionali […], vedremo con la massima
chiarezza che essi, per vivere in sicurezza e nel miglior modo possibile,
dovettero necessariamente accordarsi e dovettero fare in modo che il diritto,
prima esercitato naturalmente da ciascuno su tutto, venisse esercitato
collettivamente e determinato non in base alla violenza e all’appetito dei
singoli, ma in base alla forza e alla volontà di tutti unitamente.
Questa iniziativa sarebbe però
stata frustrata se gli uomini non avessero rinunciato a perseguire ciò che gli
appetiti suggeriscono (in forza delle leggi dell’appetito ciascuno è infatti
sospinto in direzioni diverse da quelle degli altri); essi perciò dovettero,
nel contrarre il patto, impegnarsi con la maggiore fermezza a dirigere le loro
azioni soltanto secondo le norme della ragione (cui nessuno osa opporsi
apertamente per non sembrare privo di senno), a frenare gli appetiti in quanto
inducano a produrre il danno altrui, a non fare a nessuno ciò che non avrebbero
voluto fosse fatto a sé stessi, a difendere infine il diritto altrui
considerandolo come il proprio.
Dobbiamo ora vedere a quali
condizioni questo patto debba essere concluso perché esso sia valevole e
duraturo. È legge universale della natura umana che nessuno rinunci a ciò che
reputa essere un bene, se non nella speranza di un bene maggiore o per paura di
un danno piú grave che possa risultarne, e che nessuno sopporti un male se non
allo scopo di evitarne uno peggiore o in vista di un bene maggiore che possa
venirne. é cioè naturale che, di fronte a due beni, si scelga quello che si
giudica maggiore e che, di fronte a due mali, si scelga quello che ci sembra il
minore. Sottolineo ciò che ho detto: quello che sembra il maggiore o il
minore a chi si accinge a scegliere, il che non significa che necessariamente
la cosa stia come viene giudicata. Questa legge è tanto profondamente impressa
nella natura umana che merita di essere posta tra le verità eterne che a
nessuno è dato ignorare. Ma da tali considerazioni segue necessariamente che
nessuno vorrà senza inganno promettere di spogliarsi del diritto di cui gode su
tutto, e che in nessun modo vorrà mantener fede alle promesse fatte, se non per
il timore di un male maggiore o per la speranza di un bene piú cospicuo.
Supponiamo, perché sia meglio
capito il mio discorso, che un brigante mi costringa a promettergli che gli
consegnerò i miei beni non appena egli lo esiga. Ho già mostrato che il mio
diritto naturale è determinato esclusivamente dalla mia potenza; è ovvio quindi
che, se posso liberarmi con l’astuzia da questo brigante, mi è lecito per
diritto di natura promettergli tutto quello che vuole e concludere con lui,
ingannandolo, qualsiasi patto. Supponiamo ancora che io abbia promesso in buona
fede a qualcuno di astenermi per la durata di venti giorni da qualsiasi cibo o
nutrimento di sorta e che poi mi sia accorto di essermi impegnato scioccamente
e che il tener fede alla promessa mi sarebbe di grave pregiudizio; dato che per
diritto naturale sono tenuto a scegliere il male minore, mi è lecito valermi
del mio sovrano diritto per rompere l’accordo e annullare quanto avevo detto.
E a ciò, si badi, mi autorizza il
diritto naturale, sia che mi accorga chiaramente in base a sicura riflessione
di essermi impegnato in modo malaccorto, sia che mi sembri di capirlo in base a
un piú superficiale giudizio; infatti, sia che abbia ragione o che mi sbagli,
mi troverei nella condizione di temere un male piú grave e mi sforzerò quindi
di sottrarmi ad esso per legge di Natura. In conclusione: un patto non ha
nessuna forza e nessun valore se non in ragione dell’utilità che procura ai
contraenti: tolta questa, viene inficiato nello stesso tempo anche il patto che
cade in stato di nullità. Perciò si comporterebbe in modo insensato chi
richiedesse ad altra persona la sua parola in perpetuo, se al tempo stesso non
si adoperasse a far sí che alla rottura del patto da concludersi possa seguire
piú danno che vantaggio a chi prende l’iniziativa della rottura. Questa
precauzione deve essere tenuta nel massimo conto quando si tratta di fondare
una comunità politica.
(B. Spinoza, Etica e Trattato
teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 646-648)