Con il suo metodo di
interpretazione Spinoza mira a risolvere i nodi piú ardui delle Scritture; perché, soprattutto
quelli relativi alle profezie e ai miracoli, possono avere esiti socialmente
pericolosi.
B. Spinoza, Trattato
teologico-politico, Prefazione
Seguendo
questa norma di prudenza [non accettare come insegnamento delle Scritture
nulla di cui non si possa avere dal testo una prova piú che evidente ho quindi
elaborato un metodo per l'interpretazione dei Testi Sacri e, munito di
esso, mi sono posto anzitutto il problema dell'essenza della profezia, della
causa per cui Dio si rivelò ai Profeti e dei motivi per cui i Profeti furono a
Dio accetti, cioè se ciò sia avvenuto perché essi concepirono sublimi pensieri
su Dio e sulla Natura o perché nutrirono soltanto un profondo sentimento
religioso. La soluzione di questi problemi mi ha permesso di stabilire
facilmente che l'autorità dei Profeti riveste importanza solo in ciò che
riguarda la pratica della vita e la vera virtú; per il resto le loro opinioni
poco ci riguardano.
Chiarito
ciò, passai a domandarmi quale fosse stato il motivo per cui gli Ebrei vennero
detti “eletti da Dio”; e una volta assodato che tale motivo consistette solo
nel fatto che Dio scelse per loro una determinata regione della Terra perché là
potessero vivere in sicurezza e con agio, ne trassi l'insegnamento che le leggi
rivelate da Dio a Mosè furono semplicemente le istituzioni giuridiche del
particolare Stato degli Ebrei e che pertanto nessuno se non gli Ebrei ebbe il
dovere di accettarle, anzi nemmeno gli stessi Ebrei sono ad esse vincolati, né
lo furono se non durante il periodo in cui esistette il loro Stato.
In seguito,
allo scopo di determinare se dalla Scrittura sia possibile dedurre che
l'intelletto umano sia per natura corrotto, ho voluto indagare se la religione
universale, ossia la legge divina rivelata a tutto il genere umano per mezzo
dei Profeti e degli Apostoli, si diversifichi da quella insegnata a sua volta
dal lume naturale. Volli quindi ricercare se i miracoli si fossero verificati
in contrasto con l'ordine della Natura e se essi valessero a dimostrare
l'esistenza e la provvidenza di Dio con certezza e chiarezza maggiori di quelle
offerte da ciò che noi arriviamo a comprendere chiaramente e distintamente
attraverso l'indagine delle cause prime.
Ma in
realtà negli insegnamenti chiaramente espressi dalla Scrittura non ho
trovato nulla che non fosse in accordo con l'intelletto e nulla che con esso
fosse in contrasto. Inoltre ho constatato che i Profeti non hanno insegnato che
massime semplicissime, tali da essere facilmente intese da ognuno, adornandole
però con uno stile e svolgendole con tali argomentazioni da far sí che l'animo
della massa fosse soprattutto portato alla devozione verso Dio. Mi sono perciò
fermamente persuaso che la Scrittura lascia assolutamente libera la
ragione e che essa non ha nulla in comune con la filosofia, appoggiandosi tanto
l'una quanto l'altra a propri fondamenti.
Per
giungere ad una inequivocabile dimostrazione a questo riguardo e per dare una
soluzione definitiva dell'intero problema, io espongo il metodo in base al
quale interpretare la Scrittura e mostro la necessità di trarre da essa
sola, e non dalle conoscenze cui perveniamo con l'ausilio del lume naturale,
gli elementi per il completo intendimento della Scrittura stessa e degli
insegnamenti morali in essa contenuti. Passo quindi ad illustrare quei
pregiudizi che traggono origine dal fatto che l'uomo del volgo (schiavo della
superstizione e amante delle reliquie del tempo piú che dell'eternità stessa)
adora i libri della Scrittura piú che lo stesso Verbo divino. Dimostro
poi che il Verbo di Dio rivelato non è racchiuso in un determinato numero di
libri, ma consiste in un semplice pensiero concepito dalla mente di Dio e
rivelato ai Profeti. Vale a dire: occorre obbedire a Dio con il massimo impegno
interiore, coltivando la giustizia e la carità.
Dimostro
ancora che l'insegnamento della Scrittura si adegua alla capacità
d'intendere e alle opinioni di coloro ai quali i Profeti e gli Apostoli
solitamente predicavano il Verbo di Dio, e questo per ottenere che gli uomini
l'accettassero senza avversione e con pienezza di consenso. Quindi, una volta
accertati i fondamenti della fede, concludo che l'oggetto della conoscenza
rivelata altro non è che l'obbedienza e che pertanto la conoscenza rivelata si
distingue dalla conoscenza naturale sia per l'oggetto che per i princípi
fondamentali e per i mezzi. Queste due conoscenze non hanno nulla in comune, ma
tanto l'una quanto l'altra si mantengono su piani diversi lungi da ogni
possibilità di contraddizione e da ogni necessità di subordinazione dell'una
all'altra. Inoltre, poiché l'indole degli uomini è quanto mai varia e l'uno
presta maggior fede ad un'opinione, l'altro ad un'altra, e ciò che spinge l'uno
al rispetto religioso muove l'altro al riso, ne traggo la conclusione,
considerato quanto sopra ho detto, che a ciascuno si deve lasciare la libertà
di un giudizio personale e la possibilità di interpretare i princípi
fondamentali della fede secondo le tendenze della propria personalità. La
santità o l'empietà delle credenze di ognuno va quindi giudicata solo dalle
opere. In tal modo dunque tutti potranno obbedire a Dio in piena libertà e
sincerità e solo la giustizia e la carità saranno da tutti tenute in pregio.
(B. Spinoza, Etica e Trattato
teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 393-396)