Nella tradizione etica la libertà dell'uomo è legata alla volontà; il valore morale di un'azione non dipende dall'azione stessa, ma dal grado di libertà e dall'intenzione con cui questa azione è stata compiuta; un'azione buona compiuta con un fucile puntato alla testa è irrilevante dal punto di vista morale, cosi come gli eventuali effetti positivi di un'azione mirante volontariamente al male.
Per quanto riguarda la libertà di Dio, nella tradizione ebraico-cristiana essa è legata alla volontà e addirittura all'amore: la creazione è un atto d'amore voluto da Dio nella sua piú assoluta libertà. Ancor piú, nel cristianesimo, l'incarnazione di Dio in Cristo è un libero atto d'amore verso gli uomini.
La chiave interpretativa del
pensiero di Spinoza sta nella Definizione 7 della Parte prima dell'Etica. Dal
momento che Spinoza esclude che la volontà possa essere attribuita a Dio, la
libertà di Dio si riduce all'autodeterminazione: questo è l'atto originario ed
eterno assolutamente libero; tutto ciò che è, invece, in quanto appartiene a
questo unico atto e da esso è determinato, non può essere oggetto di un
ulteriore agire libero di Dio; l'eterno agire di Dio è assolutamente
necessario.
Si dice libera quella cosa che
esiste per sola necessità della sua natura e che è determinata da sé sola ad
agire: si dice invece necessaria, o meglio coatta, la cosa che è determinata da
altro ad esistere e ad agire in una certa e determinata maniera.
La Natura è una realtà in
movimento: tutte le cose si trasformano secondo il principio di causa ed
effetto, che le regola come legge necessaria. Gli uomini sono parte degli
infiniti “modi” di manifestarsi della Natura, sono essi stessi Natura e,
quindi, sottoposti alle leggi del cambiamento: i corpi si trasformano e
parallelamente si trasformano le idee della mente.
Questi cambiamenti - sia quelli
del corpo, sia quelli della mente - da Spinoza sono detti affezioni. L'unità
delle affezioni del corpo e di quelle della mente è invece detta Affetto
Intendo per Affetto le affezioni
del Corpo, dalle quali la potenza d'agire del Corpo stesso viene accresciuta o
diminuita, assecondata o impedita, e insieme le idee di queste affezioni (Etica,
Parte terza, Def. 3).
a) Libertà come liberazione dalla schiavitù
La "fortuna" di cui
parla qui Spinoza non può certamente essere un aspetto reale della Natura,
sottoposta - come è ormai noto - alle rigorose leggi della necessità. La
fortuna non può essere altro che la conoscenza inadeguata che l'uomo ha della
Natura e di se stesso. La ragione si configura allora - in quanto strumento di
conoscenza - come mezzo per trasformare le conoscenze inadeguate in conoscenze
adeguate e liberare cosi l'uomo dal suo stato di passività (dalle sue passioni.
La ragione, che, come abbiamo visto, non è libera, è l'unico strumento di
libertà di cui dispone l'uomo.
"Si dice libera quella cosa
che esiste per sola necessità della sua natura e che è determinata da sé sola
ad agire" (B. Spinoza, Etica, Parte prima, Definizione 7).
"Chiamo schiavitù
l'impotenza dell'uomo a moderare e a reprimere gli Affetti; giacché l'uomo
sottoposto agli Affetti non è padrone di sé, ma in balia della fortuna; al cui
potere è cosi soggetto che spesso è costretto a fare il peggio purché veda il
meglio" (ivi, Parte quarta, Prefazione).
"Passo finalmente all'altra
parte dell'Etica che tratta della maniera o della via che conduce alla Libertà.
In questa parte, dunque, io tratterò della potenza della ragione, mostrando
quale potere abbia la ragione stessa sugli Affetti e che cosa sia la Libertà
della Mente ossia la beatitudine" (ivi, Parte quinta, Prefazione).
b) "Causa adeguata" e "causa
parziale"
"Chiamo causa adeguata
quella il cui effetto può essere percepito chiaramente e distintamente per
mezzo di essa. Chiamo invece causa inadeguata, o parziale, quella il cui
effetto non può essere inteso per mezzo di essa soltanto".
(Etica, Parte terza, Def.
1)
c) "Attività" e
"passività"
"Dico che noi siamo attivi
quando accade in noi o fuori di noi qualche cosa di cui noi siamo la causa
adeguata, cioè (per la Def. 1) quando dalla nostra natura segue in noi o fuori
di noi qualche cosa che può essere intesa chiaramente solo per mezzo di essa.
Dico invece che noi siamo passivi quando in noi accade qualche cosa, o quando
dalla nostra natura segue in noi o fuori di noi qualche cosa della quale noi
non siamo se non una causa parziale".
(Etica, Parte terza, Def.
2)