Spinoza, Sacra Scrittura e lume naturale

Attraverso l'analisi puntuale (linguistica e dei contenuti) di due passi delle Scritture, Spinoza mostra come esse non soltanto non vietino, ma addirittura impongano all'uomo l'uso della ragione per conoscere la grandezza di Dio e le norme morali.

 

B. Spinoza, Trattato teologico-politico, cap. IV

 

Infine in questi Proverbi di Salomone si deve soprattutto considerare il contenuto del secondo capitolo che conferma apertamente quanto io penso. Il versetto 3 di tale capitolo inizia infatti cosí: “Infatti se tu invocherai la prudenza e rivolgerai la tua voce all'intelligenza ecc., allora comprenderai il timor di Dio e scoprirai la scienza di Dio (o meglio l'amore di Dio perché il vocabolo Jadah significa entrambe le cose). Infatti Dio (N.B.) dà la sapienza; dalla sua bocca (promanano) la scienza e la prudenza”. Con queste parole Salomone indica prima di tutto che soltanto la sapienza e cioè l'intelletto promuove in noi un saggio timor di Dio, ossia ci insegna ad onorarlo secondo la vera religione; in secondo luogo ci insegna che la sapienza e la scienza provengono dalla bocca di Dio e che è Dio a concederle. Cosa questa che ho dimostrato anche prima, sostenendo che il nostro intelletto e la nostra scienza dipendono e traggono origine e perfezione esclusivamente dall'idea, cioè dalla conoscenza, di Dio. Continua quindi con il versetto 9 dichiarando apertamente che tale scienza contiene in sé la vera etica e la vera politica, tanto che entrambe sono deducibili da essa: “Allora comprenderai la giustizia, il retto giudizio, l'equità delle azioni (e) ogni buon sentiero”. Non pago di ciò prosegue: “Quando la scienza entrerà nel tuo cuore e la sapienza ti sarà motivo di gioia, allora la tua previdenza veglierà su di te e la prudenza ti sarà custode”. Ora tutto ciò concorda pienamente con la scienza naturale che insegna l'etica e la vera virtú dopo che s'è raggiunta la conoscenza e si è apprezzato il sommo valore della scienza. Perciò la felicità e la serenità di chi coltiva l'intelletto naturale non dipendono, anche secondo il pensiero di Salomone, dal dominio della fortuna (cioè dall'aiuto esterno di Dio), ma dipendono in massimo grado dall'interiore virtú di ciascuno (cioè dall'aiuto interno di Dio); e questo perché l'uomo si conserva soprattutto vigilando, operando e rettamente consigliandosi.

Non dobbiamo infine dimenticare il passo di Paolo che si trova nell'Epistola ai Romani, I, 20, dove (secondo la versione di Tremellio del testo siriano) è detto: “I misteri di Dio infatti si colgono fin dalle origini del mondo nelle Sue creature per mezzo dell'intelletto e cosí pure la Sua potenza e la Sua divinità che è eterna. Sono cosí senza scampo”. Con queste parole Paolo mostra con evidenza che ciascuno di noi mediante il lume naturale chiaramente comprende la potenza e la divinità eterna di Dio, dalla quale può dedurre quali cose debbano essere perseguite e quali evitate; conclude perciò che non c'è scampo per nessuno e che l'ignoranza non può costituire una scusante: il che invece sarebbe, se Paolo parlasse di lume soprannaturale e della passione e della resurrezione della carne di Cristo, ecc. Cosí poco dopo, al versetto 24, continua: “Perciò Dio li ha abbandonati alle immonde brame del loro cuore, ecc.” fino alla fine del capitolo. Con queste parole Paolo descrive i vizi che accompagnano l'ignoranza e li elenca come se fossero le pene dell'ignoranza stessa: questo concorda pienamente con quel proverbio di Salomone (XVI, 22) che ho già citato, ove è detto “e la pena degli stolti è la stoltezza”. Non fa dunque meraviglia che Paolo dica che i malvagi non hanno possibilità di scusa, perché ciascuno miete secondo ciò che semina: dai mali nascono necessariamente dei mali, se non si correggono con la sapienza; e dai beni dei beni, se li accompagna la costanza dello spirito.

La Scrittura dunque esalta sotto ogni aspetto il lume e la legge divina naturale: e cosí io ho assolto il compito che m'ero proposto in questo capitolo.

 

(B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 467-469)