La Natura, che è sinonimo di Dio
stesso, non possiede cause finali, ma “agisce con la stessa necessità con la
quale esiste”.
B. Spinoza, Etica, Parte
quarta, Prefazione
Chi ha stabilito di fare una
cosa, e l’ha compiuta, dirà che la sua opera è perfetta, e lo dirà non lui
soltanto, ma anche chiunque conosca bene, o creda di conoscere, la mente e lo
scopo dell’Autore di quell’opera. Per esempio se uno vede un’opera (che
suppongo non ancora compiuta) e sa che lo scopo del suo Autore è di costruire
una casa, dirà che la casa è imperfetta, al contrario, quando la vedrà arrivata
al fine che l’Autore aveva stabilito di darle, dirà che è perfetta. Ma se uno
vede un’opera, e non ha mai visto niente di simile né conosce l’intenzione
dell’artefice, non potrà certo sapere se quell’opera è perfetta o imperfetta. E
questo pare sia stato il significato primitivo di queste parole. Ma dopo che
gli uomini hanno cominciato a formulare idee universali e modelli di case,
edifici, torri, ecc., e a preferire alcuni modelli di cose ad altri, è accaduto
che ognuno chiamasse perfetto ciò che vedeva accordarsi con l’idea universale
che si era formata di tale cosa, e al contrario imperfetto ciò che vedeva
accordarsi meno con il modello concepito, anche se era stato portato
completamente a termine secondo le intenzioni dell’artefice. Né sembra esser
diversa la ragione per cui anche le cose naturali, quelle cioè che non sono
state fatte dall’uomo, si dicono comunemente perfette o imperfette. Infatti gli
uomini sono soliti formarsi, sia delle cose naturali sia delle cose
artificiali, idee universali che considerano come modelli delle cose, e
ritengono che la natura tenda ad esse e se le ponga come modelli (credono
infatti che la natura non faccia niente senza un fine). Quando dunque vedono
accadere qualcosa in natura che coincide poco con il modello concettuale che
essi ne hanno, credono allora che la natura abbia mancato, o sbagliato, ed
abbia lasciato quella cosa imperfetta. Vediamo quindi che gli uomini son soliti
chiamare perfette o imperfette le cose naturali piú per pregiudizio che per una
vera conoscenza di esse. Infatti, nell’Appendice alla Prima Parte, abbiamo
mostrato che la Natura non agisce in vista di un fine; infatti l’Ente eterno e
infinito che chiamiamo Dio, o Natura, agisce con la stessa necessità con la
quale esiste. Esso infatti, come abbiamo mostrato (nella Prop. 16 della I
parte), agisce con la stessa necessità di natura in cui esiste. Quindi la
ragione, o causa, per cui Dio, ossia la Natura, agisce ed esiste, è una e
identica. Perciò, cosí come non esiste per alcun fine, nemmeno agisce per alcun
fine, e non ha alcun principio o fine né del suo esistere né nel suo agire. La
causa che viene chiamata finale non è quindi altro che lo stesso umano appetito
considerato come principio o causa primaria di qualcosa. Per esempio, quando
diciamo che la causa finale di questa o quella casa è stata l’abitazione, non
intendiamo altro se non che l’uomo, avendo immaginato le comodità della vita
domestica, ha avuto l’appetito di costruire una casa. Perciò l’abitazione,
considerata come causa finale, non è altro che questo singolo appetito, il
quale in realtà è una causa efficiente che viene considerata causa prima perché
gli uomini di solito ignorano le cause dei propri appetiti. Infatti, come ho
già detto parecchie volte, essi sono consapevoli delle proprie opinioni e dei
propri appetiti, ma ignari delle cause da cui sono determinati ad appetire
qualcosa. Che poi gli uomini comunemente dicano che la natura a volte è in
difetto, o pecca, o produce cose imperfette, lo annoverano fra le finzioni di
cui ho parlato nell’Appendice alla Prima Parte. Quindi la perfezione e
l’imperfezione, in realtà, sono soltanto modi del pensare, ossia nozioni che
siamo soliti inventare quando paragoniamo fra loro individui della stessa
specie o dello stesso genere.
B. Spinoza, Etica e Trattato
teologico-politico, UTET, Torino, 1988, pagg. 263-264