Dio, ossia la Natura, “agisce con la stessa
necessità con la quale esiste”. In questo modo Dio, che pure è “causa libera di
tutte le cose”, non solamente è privato - rispetto al Dio della rivelazione -
del proprio carattere trascendente: gli viene tolta anche la libertà nel significato che comunemente si
attribuisce al termine “libertà”, cioè “esercizio della volontà”.
a) La volontà è un modo del pensare (B. Spinoza, Etica, Parte prima, Prop. 32)
Proposizione XXXII
La volontà non può essere chiamata causa libera, ma solo causa
necessaria.
dimostrazione
La volontà, allo stesso modo dell'intelletto, è soltanto un certo modo
del pensare; e perciò (per la Prop. 28) ciascuna volizione non può
esistere né essere determinata ad operare se non è determinata da un'altra
causa, e questa alla sua volta da un'altra, e cosí via all'infinito. Che se una
volontà è supposta infinita, deve pure essere determinata ad esistere e ad
operare da Dio, non in quanto è una sostanza assolutamente infinita, ma in
quanto ha un attributo che esprime l'essenza infinita ed eterna del pensiero
(per la Prop. 23). In qualunque modo, dunque, sia concepita, o come
finita o come infinita, essa richiede una causa dalla quale sia determinata ad
esistere e ad operare e quindi (per la Def. 7) non può essere detta
causa libera, ma soltanto necessaria o costretta. C.D.D.
b) La perfezione di Dio non gli consente di perseguire alcun fine (B. Spinoza, Etica, Parte prima, Appendice)
Ho spiegato con ciò la natura di Dio e le sue proprietà, cioè: che egli
esiste necessariamente; che è unico; che è e agisce per la sola necessità della
sua natura; che è causa libera di tutte le cose, e in qual modo lo è; che tutte
le cose sono in Dio e dipendono da lui in modo che senza di lui non possono né
essere né essere concepite; e infine che tutte le cose sono state
predeterminate da Dio, non già invero mediante la sua libera volontà o il suo
assoluto beneplacito, ma mediante la natura assoluta di Dio, ossia mediante la
sua infinita potenza. Inoltre, dovunque se ne è presentata l'occasione, io mi
sono curato di eliminare i pregiudizi [...]. E poiché tutti i pregiudizi che
qui mi propongo di indicare dipendono da questo solo pregiudizio, cioè che gli
uomini suppongono comunemente che tutte le cose della Natura agiscano, come
essi stessi, in vista di un fine, e anzi ammettono come cosa certa che Dio
stesso diriga tutto verso un fine determinato: dicono, infatti, che Dio ha
fatto tutto in vista dell'uomo, e ha fatto l'uomo perché lo adorasse. [...]
Ma per mostrare ora che la Natura non ha alcun fine che le sia stato
prefisso e che tutte le cause finali non sono altro che finzioni umane, non c'è
bisogno di molte parole. [...] Tuttavia aggiungerò ancora questo: cioè che
questa dottrina finalistica sovverte totalmente la Natura. Essa, infatti,
considera come effetto ciò che in realtà è causa, e viceversa. Fa poi
posteriore ciò che per natura è anteriore. E infine rende imperfettissimo ciò
che è supremo e perfettissimo. [...] Inoltre questa dottrina annulla la
perfezione di Dio; giacché, se Dio agisce per un fine, egli allora
necessariamente appetisce qualche cosa che gli manca.
c) Gli uomini confondono le proprie idee con gli scopi della Natura (B. Spinoza, Etica, Parte quarta, Prefazione)
Chi ha stabilito di fare una cosa, e l'ha compiuta, dirà che la sua
opera è perfetta, e lo dirà non lui soltanto, ma anche chiunque conosca bene, o
creda di conoscere, la mente e lo scopo dell'Autore di quell'opera. Per esempio
se uno vede un'opera (che suppongo non ancora compiuta) e sa che lo scopo del
suo Autore è di costruire una casa, dirà che la casa è imperfetta, al
contrario, quando la vedrà arrivata al fine che l'Autore aveva stabilito di
darle, dirà che è perfetta. Ma se uno vede un'opera, e non ha mai visto niente
di simile né conosce l'intenzione dell'artefice, non potrà certo sapere se
quell'opera è perfetta o imperfetta. E questo pare sia stato il significato
primitivo di queste parole. Ma dopo che gli uomini hanno cominciato a formulare
idee universali e modelli di case, edifici, torri, ecc., e a preferire alcuni
modelli di cose ad altri, è accaduto che ognuno chiamasse perfetto ciò che
vedeva accordarsi con l'idea universale che si era formata di tale cosa, e al
contrario imperfetto ciò che vedeva accordarsi meno con il modello concepito,
anche se era stato portato completamente a termine secondo le intenzioni
dell'artefice. Né sembra esser diversa la ragione per cui anche le cose
naturali, quelle cioè che non sono state fatte dall'uomo, si dicono comunemente
perfette o imperfette. Infatti gli uomini sono soliti formarsi, sia delle cose
naturali sia delle cose artificiali, idee universali che considerano come
modelli delle cose, e ritengono che la Natura tenda ad esse e se le ponga come
modelli (credono infatti che la Natura non faccia niente senza un fine). Quando
dunque vedono accadere qualcosa in Natura che coincide poco con il modello
concettuale che essi ne hanno, credono allora che la Natura abbia mancato, o
sbagliato, ed abbia lasciato quella cosa imperfetta. Vediamo quindi che gli
uomini son soliti chiamare perfette o imperfette le cose naturali piú per
pregiudizio che per una vera conoscenza di esse. Infatti, nell'Appendice
alla Parte prima, abbiamo mostrato che la Natura non agisce in vista di un
fine; infatti l'Ente eterno e infinito che chiamiamo Dio, o Natura, agisce con
la stessa necessità con la quale esiste. Esso infatti, come abbiamo mostrato
(nella Prop. 16 della Prima parte [Dalla necessità della natura divina
devono seguire infinite cose, in infiniti modi: cioè tutto quello che può
cadere sotto un intelletto infinito]), agisce con la stessa necessità di natura
in cui esiste. Quindi la ragione, o causa, per cui Dio, ossia la Natura, agisce
ed esiste, è una e identica. Perciò, cosí come non esiste per alcun fine,
nemmeno agisce per alcun fine, e non ha alcun principio o fine né del suo
esistere né nel suo agire. La causa che viene chiamata finale non è quindi
altro che lo stesso umano appetito considerato come principio o causa primaria
di qualcosa. Per esempio, quando diciamo che la causa finale di questa o quella
casa è stata l'abitazione, non intendiamo altro se non che l'uomo, avendo
immaginato le comodità della vita domestica, ha avuto l'appetito di costruire
una casa. Perciò l'abitazione, considerata come causa finale, non è altro che
questo singolo appetito, il quale in realtà è una causa efficiente che viene
considerata causa prima perché gli uomini di solito ignorano le cause dei
propri appetiti. Infatti, come ho già detto parecchie volte, essi sono
consapevoli delle proprie opinioni e dei propri appetiti, ma ignari delle cause
da cui sono determinati ad appetire qualcosa. Che poi gli uomini comunemente
dicano che la Natura a volte è in difetto, o pecca, o produce cose imperfette,
lo annovero tra le finzioni di cui ho parlato nell'Appendice alla Parte
prima.
(B. Spinoza, Etica e Trattato teologico-politico, UTET, Torino,
1988, pagg. 115, 121-128, 263-264)