SPINOZA, CRITICA AL FINALISMO

Con ciò che precede ho dato un’idea chiara della natura di Dio e delle sue proprietà: ossia del suo esistere necessariamente; del suo essere unico; del suo essere ed agire per la sola necessità della sua natura; del suo essere causa libera di tutte le cose, e del come esser causa libera; ho chiarito che tutte le cose sono in Dio, e che dipendono da lui in modo tale da non potere, astraendo da Dio, né esistere né esser pensate; e infine ho chiarito che ogni cosa è stata predeterminata da Dio - ma non già mediante una sua libertà di volere o una sua scelta arbitraria, bensì in conseguenza della sua natura considerata in sé, che corrisponde al suo infinito potere. Dovunque poi ne abbia avuto l’occasione io ho cercato di rimuovere i pregiudizi che potevano impedire la comprensione delle mie dimostrazioni: ma poiché restano ancora parecchi pregiudizi che possono, come quelli già rimossi, e anche più, impedire che i lettori afferrino la concatenazione delle cose nella maniera in cui io l’ho spiegata, ho pensato di esaminare qui alla luce della ragione anche quei pregiudizi restanti. E poiché tutti i pregiudizi che m’accingo a sottoporre ad esame dipendono da quest’unico, che gli umani immaginano comunemente che le cose della natura òperino, come essi stessi fanno, mirando a uno scopo (addirittura essi danno per certo che Dio stesso diriga le cose a un fine determinato: avendo egli fatto ogni cosa a pro dell’Uomo, e avendo fatto l’Uomo per essere da lui adorato), io prenderò dapprima in considerazione questo solo pregiudizio; e cercherò di scoprire, per cominciare, la causa per cui la maggioranza degli umani se ne sta tranquilla in questo pregiudizio, e la totalità è per natura così propensa ad accettarlo; mostrerò poi la falsità del pregiudizio in parola; e infine mostrerò come dal pregiudizio stesso siano sorti gli altri pregiudizi che concernono il bene e il male, il merito e il peccato, la lode e il biasimo, l’ordine e il disordine, la bellezza e la bruttezza, e via dicendo.

Non è questo il luogo per mostrare come tali pregiudizi derivino dalla natura della mente umana: qui basterà riconoscere - ed io lo prenderò come fondamento - ciò tutti debbono ammettere: cioè che tutti gli umani nascono ignorando le cause delle cose, e tutti sono portati istintivamente a cercare il loro utile, e di questo hanno coscienza. Di qui derivano alcune conseguenze. 1°, Gli umani sono convinti di essere liberi perché sono consapevoli delle loro volizioni e dei loro desideri istintivi e perché non pensano neanche in sogno dato che ne sono ignari - alle cause che li orientano a desiderare e a volere. 2°, Gli umani agiscono in ogni caso in vista di un fine, cioè in vista dell’utile che appetiscono: e ne deriva che essi si preoccupino sempre di conoscere soltanto le cause finali di ciò hanno compiuto, e , quando le abbiano apprese, smettano di preoccuparsi: e questo è ragionevole, poiché a questo punto non hanno motivo di porsi altri dubbi. (Non avendo nessuno che gli dia spiegazioni corrette, perché tutti si trovano nelle stesse condizioni, gli umani sono costretti a prendere se stessi come esemplare e a riflettere sui fini che di solito spingono ciascuno a compiere le azioni più comuni: e in questo modo col metro del loro sentimento misurano tutto il resto della natura). D’altronde gli umani trovano in se stessi, e all’esterno di sé, troppi mezzi assai efficaci per conseguire il loro utile - quali gli occhi per vedere, i denti per masticare, i vegetali e gli animali per nutrirsi, il sole che li illumina, il mare che alimenta per loro i pesci - perché essi non considerino da sempre, spontaneamente, tutte le cose della natura come mezzi per raggiungere il loro utile; e poiché sanno di non aver essi stessi apprestato quei mezzi, ma di averli trovati, ne hanno tratto il motivo per credere che ci sia qualcuno, estraneo alla specie umana, che abbia apprestato quei mezzi per loro uso. Dopo avere scoperto nelle cose la qualità di mezzi, gli umani non hanno, evidentemente, potuto credere che quelle cose si siano fatte da sé; e, tenendo conto di come essi si apprestano i mezzi di cui hanno bisogno, hanno dovuto concludere che esistano uno, o più, reggitori della natura, forniti di libertà come gli umani, che hanno disposto a favore degli umani tutte le cose e le hanno tutte destinate al loro uso.

E anche il sentimento di quei reggitori - del quale essi non hanno mai avuto notizia diretta - gli umani hanno dovuto immaginare in base al proprio: ed hanno così stabilito che gli Dei dirigono tutte le cose per uso degli umani, così da legarseli e da esser tenuti da loro nel massimo onore; e di qui poi ognuno ha escogitato, secondo il suo modo di vedere, i diversi modi di render culto a Dio, così da essere amato da Dio più gli altri e da meritare che Dio rivolga l’intera natura a pro della sua cieca cupidigia e della sua insaziabile avidità. E questo pregiudizio, diventato superstizione, s’è profondamente radicato nelle menti: ed è stato la causa per cui tutti si sono dedicati con ogni impegno a capire e a spiegare le cause finali di tutte le cose. Ma si direbbe che questo cercar di mostrare che la natura non fa nulla invano (cioè nulla non che sia utile agli umani) è riuscito a mostrare soltanto che la stessa follia che è negli umani è anche nella natura e negli Dei. Vediamo un po’ a qual punto la cosa è arrivata. Fra i tanti vantaggi offerti dalla natura i ricercatori hanno dovuto trovare non poche cose svantaggiose, quali tempeste, terremoti, malattie eccetera: e hanno stabilito che questo si verifica perché gli Dei sono irati a causa di offese recate loro dagli umani o di scorrettezze commesse nel culto; e sebbene l’esperienza quotidiana affermi a gran voce e mostri con infiniti esempi che fortune e sfortune toccano nella stessa maniera e indistintamente ai pii e agli empi, quei ricercatori non hanno dimesso il pregiudizio ormai inveterato, giudicando che porre quella incomprensibile uniformità fra le altre cose ignote, delle quali non si conosce il perché, e conservare così la loro presente e innata condizione di ignoranza, sia più facile che demolire tutte quelle loro costruzioni e concepirne un’altra, nuova: e su una tale base hanno decretato, come cosa certa, che le risoluzioni degli Dei superano di gran lunga il comprendonio umano. Questo trovato, da solo, sarebbe stato sufficiente a che la verità restasse in eterno nascosta al genere umano, se la Matematica – che si occupa non dei fini, ma delle essenze e delle proprietà delle figure - non avesse mostrato agli umani un altro criterio di verità; e oltre alla Matematica si può indicare, senza che sia necessario enumerarli qui, altri fattori, grazie ai quali ha potuto accadere che taluni umani si siano accorti della natura di pregiudizio che hanno queste credenze comuni e siano riusciti a giungere alla vera conoscenza delle cose.

(Spinoza, “Ethica”, I, Appendice)