SCHOPENHAUER, IL PIACERE ESTETICO
Quando, sollevati dalla potenza dello spinto, abbandoniamo la solita maniera di considerare le cose e cessiamo di ricercare le loro relazioni reciproche, il cui ultimo fine è sempre la relazione con la nostra volontà, e perciò non consideriamo piú nelle cose il dove, il quando, la causa, e lo scopo, ma unicamente e soltanto che cosa sono; quando non permettiamo che il pensiero astratto e i concetti della ragione occupino la coscienza, ma in luogo di tutto questo, consacriamo la forza del nostro spirito all'intuizione e vi ci sprofondiamo completamente, e lasciamo che l'intera nostra coscienza si riempia della serena contemplazione dell'oggetto naturale che ci sta davanti, sia esso paesaggio, albero, roccia, edificio o altra cosa, e ci perdiamo totalmente in questo oggetto, dimenticando la nostra individualità e la nostra volontà e sussistendo soltanto come soggetto puro, come limpido specchio dell'oggetto, sicché è come se l'oggetto fosse solo senza nessuno che lo percepisce, e quindi non si può separare il contemplante dalla contemplazione, ma formano ambedue un solo tutto, essendo l'intera coscienza completamente riempita e presa da un'unica intuitiva immagine; quando finalmente l'oggetto viene ad essere in tal maniera fuori d'ogni relazione con altro, e il soggetto da qualsiasi relazione con la volontà; allora ciò che viene conosciuto non è piú la cosa particolare come tale, ma è l'idea, l'eterna forma...: nello stesso tempo l'individuo assorto nella contemplazione non è piú individuo, poiché l'individuo in questa contemplazione si è perduto, ma è puro soggetto di conoscenza, libero dalla volontà, dal dolore, dal tempo.
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Egli, osservando lo spettacolo della oggettivazione della volontà, rimane come affascinato, né mai si stanca di contemplarlo e di riprodurlo; e frattanto egli stesso paga le spese di questo spettacolo, poiché egli stesso è la volontà che si oggettiva In quel modo, e rimane nel suo eterno dolore. Quella pura, vera e profonda cognizione dell'essenza del mondo costituisce Il suo unico e supremo fine, ed egli vi si ferma. Perciò essa non è per lui come per il santo arrivato alla rassegnazione - un quietivo della volontà non lo libera dalla vita per sempre, ma soltanto per un breve momento, e perciò non è ancora il mezzo per uscire dalla vita, ma soltanto un conforto momentaneo; fino a che l'artista, sentendosi ormai piú forte, non si stanchi del gioco e si rivolga alle cose serie.
(Schopenhauer, Il mondo come volontà e rappresentazione)