SCHOPENHAUER, PIETA' E COMPASSIONE

 

Perciò è necessario che io partecipi del suo dolore come tale, che io senta il suo dolore come di solito sento il mio, e che perciò io voglia direttamente il suo bene come di solito voglio il mio. Ma ciò esige che io mi identifichi in qualche modo a lui, cioè che ogni differenza tra me e un altro, sulla quale si fonda il mio egoismo, sia, almeno in un certo grado, soppressa. Questo complesso di pensieri qui analizzato non è né fantastico, né campato in aria, ma è realissimo e nemmeno raro: è il fenomeno della pietà, cioè della partecipazione, immediata e incondizionata, ai dolori altrui, e perciò alla cessazione o alla eliminazione di questi dolori, nella quale consiste ogni contentezza, ogni benessere e felicità. Questa pietà è l'unica base effettiva di una giustizia spontanea e di ogni carità genuina. Appena questa pietà si fa viva, il bene e il male degli altri mi stanno immediatamente a cuore allo stesso modo, se non proprio allo stesso grado, del mio stesso bene: cosí ogni differenza fra lui e me non esiste piú. Questo evento è misterioso: è un fatto, di cui la ragione non può render conto direttamente e le cui cause non si possono scoprire mediante la esperienza. [...] Se una persona fa l'elemosina senza pensare ad altro che ad alleviare la miseria che opprime un infelice, ciò è possibile solo se sappia che è lui stesso quello che gli appare sotto quel miserabile aspetto, e riconosca il suo proprio, Intimo essere in quell'apparenza estranea.

 

(Schopenhauer, Il fondamento della morale)