Seneca è convinto che non dobbiamo permettere all'ira di manifestarsi: essa deve essere sconfitta e messa a tacere, benchè ciò implichi un contrasto con se stessi. L'esempio in positivo è Socrate, il quale, in preda all'ira, era solito abbassare la voce e comportarsi con maggiore tranquillità.
Lotta con te stesso: se vuoi vincere l'ira, essa non può vincere te. Cominci a vincere se la nascondi, se non le dai modo di venir fuori. Nascondiamo le sue manifestazioni e teniamola per quanto è possibile occulta e segreta. Ciò avverrà con grande nostro fastidio, perché essa desidera erompere e accendere gli occhi e mutare il volto; ma se le permettiamo di uscir fuori di noi, ci dominerà. Sia nascosta nel più profondo recesso del nostro petto, sia trascinata perché non trascini noi; al contrario, combattiamo tutti i suoi indizi, ricomponiamo il volto, addolciamo la voce, allentiamo il passo. A poco a poco l'interno si conformerà all'esterno. In Socrate abbassare la voce, essere parco di parole, era un segno d'ira. Era chiaro a tutti che egli contrastava con se stesso. Era sorpreso e redarguito dai suoi familiari, ma il rimprovero per la sua ira latente non gli era sgradito. E perché non si sarebbe dovuto rallegrare che molti comprendessero la sua ira, ma che nessuno la sentisse? L'avrebbero invece sentita se egli non avesse dato agli amici il diritto di rimproverarlo, come egli se lo era assunto verso gli amici. Quanto più dobbiamo farlo noi!
(Seneca, Sull'ira, III 13)