SEVERINO, L'ESISTENZA PRECEDE L'ESSENZA

Le ragioni del "nulla esistenzialista" e la disponibilità dell'ente alla possiblità del non essere nell'ambito della distinzione tomistica dell'entia per partecipationem. Tale distinzione, nella quale si pensa l'ente come cosa diversa rispetto all'essere assoluto (le cose sensibili sono altra cosa rispetto a Dio, le quali partecipano, ma non sono Dio), porta oggi ad affermare che l'esistenza degli enti precede l'essenza degli stessi enti (si veda l'ultimo paragrafo, l'ente è creato ex nihilo sui da Dio, secondo la visione tomista, mentre Severino sostiene che essere e Dio coincidono, secondo la sua visione immanentista-parmenidea).

Quando l'esistenzialismo parla del nulla, come fondamento dell'ente, non intende affermare che l'ente, in quanto ente, sia niente ('nihil absolutum'). La 'storia', l''esistenza', la 'libertà' (ossia i vari modi in cui resta qualificato l'ente), non sono garantiti, per l'esistenzialismo, da alcun essere trascendente - e in questo senso hanno come fondamento il niente -, ma ciò nonostante non intendono essere, in quanto tali, un niente. L'esistenza precede l'essenza - non ha alle sue spalle un mondo immutabile su cui appoggiarsi e cui commisurarsi, quindi ha il niente alle sue spalle e di fronte a sé -, ma per Sartre l'esistenza, in quanto tale, non è un 'nihil absolutum'. Non solo l'esistenzialismo, ma l'intero pensiero occidentale si rifiuta di pensare che l'ente, in quanto tale, sia un nulla: in quanto è, sin quando è, nei limiti in cui è, l'ente non è un niente, per quanto instabile, insicuro, precario esso possa essere. Ma l'intera civiltà occidentale si rifiuta di pensare che l'ente in quanto tale sia niente, tuttavia la persuasione che l'ente , in quanto tale, è niente, è il fondamento nascosto e il significato ultimo di quel rifiuto. L'Occidente è questa persuasione, ma non riesce a riconoscersi in essa, che pure è la sua essenza. Prendendo coscienza di sé, questa persuasione si manifesta nella forma del suo opposto: come negazione che l'ente sia niente. Ma in questa negazione l'ente viene pensato come ciò che può non essere, e cioè - ecco il tratto essenzialmente nascosto - come un niente; sì che la nientità dell'ente resta al fondamento della negazione che l'ente sia niente.

[...] E' proprio perché un tempo si è potuta realizzare, all'interno dell'orizzonte della metafisica di Platone, la distinzione tomistica tra Esse per essentiam e entia per participationem, è proprio per questo che oggi si può affermare che l'esistenza precede l'essenza. Affermare che l'ente partecipa dell'esse (e cioè che la connessione dell'ente al suo esse è "sintetica") significa pensare l'ente come assoluta disponibilità all'essere e al non essere: l'ente è (=partecipa sinteticamente dell'esse), ma sarebbe potuto restare un niente e potrebbe ridiventare un niente.

Il pensiero moderno si rende conto che questa nientità dell'ente è possibile solo se l'ente non preesiste in un essere eterno (divino), cioè solo se il vuoto che l'ente non ha ancora occupato (o avrebbe potuto occupare, o ha cessato di occupare) non è riempito da un dio: solo se la nientità dell'ente non è mistificazione. Nell'affermazione che l'"esistenza precede l'essenza", l''essenza' è appunto la dimensione dell'essere eterno (Esse per essentiam) e l'esistenza' è l'ente che esiste come ciò che sarebbe potuto restare un niente. Se - e poiché! - l'ente emerge dalla propria nientità, e sarebbe potuto restare un niente, non ci può essere un'essenza eterna che preceda l'esistenza dell'ente e sia già ciò che l'ente, in quanto niente, non può ancora essere.

(Emanuele Severino, “Risposta alla Chiesa”, in “Essenza del Nichilismo”, edizione Adelphi, Milano, 1982, pag. 348).