Severino
espone la visione del Tutto originata dalla metafisica greca: il mondo sensibile
è come una scatola
che contiene enti che nascono dal nulla e rientrano nel nulla.
Con
la comparsa della metafisica, i linguaggi storici si trovano per la prima
volta a confronto con la testimonianza del senso dell'essere e del
niente. Nel confronto, il senso di ogni parola premetafisica subisce
una trasformazione essenziale. Alla luce dell'essere e del niente la
vita, la nascita e la morte, il si e il no, il dolore, l'amore, la terra e
il cielo vengono sotratti al loro senso primitivo e restano affidati ad un
altro senso, inaudito. Con la metafisica non sopraggiunge semplicemente un
mondo, ma il mondo. [...] La metafisica greca ha portato alla luce
la dimora in cui abita l'Occidente e questa dimora ha dato il proprio senso
a tutto ciò che in essa si è andato compiendo. Il mondo è
divenuto il pensiero e la forza dominante e un poco alla volta tutti gli aspetti
fondamentali e derivati dell'esistenza e della civiltà sono stati pensati
e vissuti nel mondo. [...] Raccogliendosi nel mondo gli enti divengono:
nascono, muiono, si trasformano. dal punto di vista della metafisica, ciò
significa che gli enti del mondo (tutti o in parte, completamente o in qualche
loro aspetto) escono e ritornano nel niente - passano dalla loro nientità
all'essere un non-niente e viceversa - e, in quanto sono, sono essenzialmente
esposti al rischio dell'annientamento. Se non ci fosse nulla, negli enti,
che diventasse un niente, se tutto restassse ciò che è, come
sarebbe possibile il divenire del mondo? [...] Prima di acquistare l'essere,
l'ente è un niente, e così dopo averlo perduto. L'evidenza di
tutte le evidenze è costituita dalla alienazione più abissale
e più pura: la persuasione che l'ente sia niente. Essa è il
senso che vien respirato da ogni cosa e opera nella dimora in cui cresce la
nostra civiltà. L'alienazione essenziale è divenuta la realtà
più solida e indubitabile. Nulla è in noi più fermo della
persuasione di 'essere al mondo'. Eppure l'uomo incomincia ad esporsi al mondo
- ad essere e a venire al mondo - solo ad un certo punto della sua storia,
quando è il mondo a venire all'uomo.[...]
Che significato ontologico possiede un linguaggio che - come ogni linguaggio
premetafisico - non testimoni, ossia non parli esplicitamente intorno al senso
dell'essere e del niente? Certe cose possono essere dette solo in quanto l'essere
sia inteso in un certo modo; ma se il dire non esplicita il senso dell'essere,
ci manca la chiave che consenta di scoprire, sulla base delle cose dette,
le cose illuminate, ma non possiamo vedere quale sole le illumini. Vediamo
le tracce di un sole che rimane sconosciuto. [...] Con l'avvento del pensiero
metafisico, anche 'dio' esce dall'ambiguità ed entra nel mondo: non
nel senso che venga necessariamente inteso come uno degli enti sensibili e
divenienti, ma in quanto è pensato come il fondamento stesso del mondo,
ossia come ciò che fa sì che il mondo sia.
(Emanuele Severino, “Sul significato della 'morte di Dio'”, in “Essenza del Nichilismo”, edizione Adelphi, Milano, 1982, pag. 253-254).