Teilhard de Chardin, Sull’evoluzione

P. Teilhard de Chardin (1881-1955) scienziato, filosofo e teologo francese, specialista in paleontologia, è famoso per una originale reinterpretazione della teoria evoluzionista, estesa all’attività spirituale come traguardo del processo evoluzionistico stesso, dalla pre-vita (mondo inorganico) alla vita (biosfera) al mondo dell’uomo (noosfera), al Cristo cosmico, punto di aggregazione di tutta l’umanità (cristosfera).

In questa lettura egli nota che i primi evoluzionisti sembrano non aver considerato il fatto che l’evoluzione non ha coinvolto solo l’oggetto, ma anche il soggetto, non solo il nostro corpo, ma anche quell’intelligenza capace di comprendere il processo evolutivo stesso. Ciò comporta una cosmogenesi che deve comprendere in sé anche la noogenesi. L’evoluzione diventa un cammino verso il pensiero, cioè verso la consapevolezza di sé, verso l’autocoscienza.

 

P. Teilhard de Chardin, L’ambiente divino, trad. it. Il Saggiatore, Milano 1968, pagg. 285-313

 

L’uomo non poteva certo prendere coscienza dell’evoluzione attorno a sé senza sentirsi da questa, in qualche misura, trascinato. È Darwin lo ha ben dimostrato. Tuttavia, osservando il progresso delle vedute trasformiste dal secolo scorso a questa parte, siamo sorpresi nel constatare con quale ingenuità i naturalisti e i fisici poterono in un primo tempo illudersi di sfuggire personalmente alla corrente universale che avevano scoperto. Soggetto e oggetto tendono, quasi irrimediabilmente, a separarsi nell’atto della conoscenza. Siamo continuamente inclini a isolarci dalle cose e dagli avvenimenti che ci circondano, come se li osservassimo dall’esterno ben riparati in un osservatorio in cui non potrebbero toccarci: spettatori e non elementi di quanto accade. Cosí si spiega come la questione delle origini umane, una volta posta dalle concatenazioni della vita, sia rimasta cosí a lungo limitata al puro aspetto somatico, corporale. Una lunga eredità animale poteva certo aver costruito le nostre membra. Ma il nostro spirito emergeva sempre dal gioco di cui contava i colpi. Per quanto materialisti fossero i primi evoluzionisti, non veniva loro in mente che la loro stessa intelligenza di scienziati avesse qualcosa a che fare, nella sua realtà, con l’evoluzione.

A tale stadio, non erano che a metà strada della verità.

Dalla prima di queste pagine non ho fatto altro se non tentare di dimostrare che le fibre della cosmogenesi chiedono di prolungarsi in noi, ben oltre la carne e le ossa, per insuperabili ragioni di omogeneità e di coerenza. No, nella corrente vitale non è soltanto l’involucro materiale del nostro essere che si trova sballottato e trascinato. Ma, simile a un fluido sottile, lo spazio-tempo, dopo aver sommerso i nostri corpi penetra sin nella nostra anima. La riempie. La impregna. S’inserisce nelle sue potenze, al punto che ben presto essa non sa piú come distinguerlo dai propri pensieri. Per chi sa ben vedere, nulla può sfuggire piú, fosse pure in cima al nostro essere, a quel flusso, e ciò perché quel flusso è unicamente definibile attraverso gli accrescimenti di coscienza. L’atto stesso con il quale la fine punta del nostro spirito penetra nell’assoluto non è forse un fenomeno di emergenza? Insomma, l’evoluzione individuata dapprima in un solo punto delle cose, estesa poi all’intero volume inorganico e organico della materia, sta ora invadendo, piaccia o non piaccia, le zone psichiche del mondo. E con questo trasferisce nelle costruzioni spirituali della vita non soltanto la stoffa ma il “primato” cosmico dell’antico “etere”.

Infatti, come incorporare il pensiero nel flusso organico dello spazio-tempo senza essere costretti a riconoscergli il primo posto nel processo? Come immaginare una cosmogenesi estesa allo spirito senza trovarci nello stesso tempo di fronte a una noogenesi?

Non soltanto il pensiero inserito nell’evoluzione a titolo di anomalia o di epifenomeno: ma l’evoluzione è cosí ben identificabile e riducibile a un cammino verso il pensiero che il movimento della nostra anima esprime e misura i progressi stessi dell’evoluzione. L’uomo scopre, per usare la forte espressione di Julian Huxley, di non essere altra cosa se non l’evoluzione divenuta cosciente di se stessa... Sino a che non si saranno posti in questa prospettiva, gli spiriti moderni almeno cosí mi sembra (proprio perché moderni e in quanto tali), non riusciranno mai a trovare il riposo. Poiché su questa cima, e solo su questa cima, li attendono il riposo e l’illuminazione.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. I, pagg. 812-813