L'anima è naturale e cosí pure le sue
facoltà. Tutto è fondato sulla natura e comunque ciò che possediamo per natura
è molto piú importante di ciò che si può acquisire con l'impegno personale e
con l'esperienza.
B. Telesio, De rerum natura
iuxta propria principia, IX, cap. XXX
[...] Si potrà arguire che [...]
non vengono date all'anima nuove facoltà, né aggiunta nuova forza d'operare di
facoltà già preesistenti, grazie a consuetudine (o ad apprendimento) alcuna dal
fatto che in coloro in cui si dà poco vigore di senso o di intelletto, questo
non diventa piú valido o piú robusto per industria che si abbia [...]. Cosí, se
lo sforzo di sentire e di intendere sembra far sí che lo spirito percepisca piú
finemente e le forze presenti e agenti delle cose e quelle remote e immobili, e
percepisca le loro differenze, non bisogna pensare che ciò accada perché lo
sforzo dia nuove forze all'anima o accresca e acutizzi le preesistenti, ma
piuttosto perché esso sospende l'anima da ogni altro suo impegno e fa sí che
sia tutta intenta alle forze delle cose da sentire e da intendere. E di fatti,
quelle cose stesse, normalmente sentendo e intendendo, le sentiamo e intendiamo
benissimo, quando lo spirito quasi tutto si raccoglie a sentire e ad intendere
quelle. [...] Ma forse i Peripatetici non oserebbero negare che la virtú e
l'eccellenza del sentire e dell'intendere sono insite in ciascuno per natura,
ma contesterebbero tuttavia che la conoscenza delle cose sensibili e
intelligibili - e la scienza cioè e la sapienza tutta - non sono insite per
natura, ma vanno acquistate con l'esperienza. Forse in verità non parlerebbero
vanamente. Come s'è detto infatti in un libro precedente, la cognizione delle
cose che noi abbiamo ce l'ha data infatti tutta o il senso, o la similitudine
delle cose percepite col senso e dal senso, e l'esperienza. Colui invero che
mai non ha ricevuto passione e mutamento alcuno ad opera delle forze delle
cose, e non le ha dunque mai percepite, non può averne notizia in nessun senso
[...]. Ma, se i Peripatetici vogliono asserire che il senso delle cose e la
conoscenza delle cose si acquistano non da natura ma da esperienza, per questo
fatto appunto che lo spirito, per acquistarne conoscenza, deve averle sentite,
occorre che si apprestino a sostenere che, delle operazioni che l'animale opera
non siano operate per natura tutte quelle per le quali, pur operandole egli, ha
bisogno di cose esterne intorno alle quali operi. Inoltre non si può dubitare
che, sebbene la cognizione delle cose sia opera anche dell'esperienza, essa lo
è anche piú della natura. Infatti coloro che eccellono in natura, quando
abbiano esperimentato anche una sola volta le forze delle cose e il loro
susseguirsi, diventano scienti e sapienti di tutte le cose; coloro per contro
che hanno indole piú crassa son ben lungi dal potersi procurare la scienza con
l'apprendimento e disciplina o esperienza alcuna. E pertanto, come si disse, è
lecito pensare che la scienza e sapienza, se non si possono avere dalla sola
natura, certo però si possono avere molto piú da essa che dall'apprendimento e
dall'esperienza.
(Grande Antologia Filosofica,
Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pagg. 1317-1318)