Tertulliano
non ha dubbi: il cristianesimo è decisamente superiore alla filosofia, e deve
essere seguito alla lettera l’insegnamento di Paolo che scongiura i cristiani
di non avvicinarsi alla filosofia.
fonti diverse
a) La superiorità del cristianesimo sulla
filosofia (Apologeticum, XLVI, 1-18)
1 Mi
sembra di aver confutato tutti i capi d’accusa con i quali si vuole spargere il
sangue cristiano. Ho spiegato il nostro modo di vivere, con le mie
argomentazioni ho provato la verità della nostra dottrina basandomi sulla
autorità e sulla vetustà della Sacra Scrittura e sul palese
riconoscimento delle forze demoniache. Chi osasse controbattere i miei
argomenti, si faccia pure avanti, ma non già con parole vane, sibbene nella
stessa maniera con la quale ho tessuto la mia dimostrazione, fondandosi, cioè,
sulla verità.
2 Frattanto
coloro che non credono, poiché non sanno come sfuggire alla bontà della nostra
dottrina, la quale bontà si manifesta nella nostra maniera di vivere e nelle
nostre relazioni con il prossimo, dicono che il cristianesimo non è ispirato da
Dio, ma è semplicemente una filosofia, cioè affermano che la stessa innocenza,
giustizia, pazienza, sobrietà e continenza sono cose insegnate e attuate dai
filosofi.
3 Ma
allora, giacché per la dottrina possiamo paragonarci ai filosofi, perché non
concedete anche a noi la libertà e l’impunità nell’insegnare la nostra
dottrina? E perché loro, giacché son pari a noi, non sono spinti a quelle
pratiche che costituiscono per noi un pericolo, se non ci pieghiamo? Chi
costringe un filosofo a sacrificare, a spergiurare, a portare vane lucerne in
pieno giorno? Ché anzi essi palesemente abbattono le vostre divinità e, anche
nei loro libri, denunziano le vostre superstizioni, mentre voi li lodate. La
maggior parte di essi si scagliano poi contro i governanti, mentre voi li
sostenete, ed è piú facile che siano ricompensati con statue ed erogazioni
anziché essere condannati alle belve. Ma tutto questo è giusto; giacché son
chiamati filosofi, non cristiani. I demoni non fuggono questo nome: filosofi! E
perché dovrebbero fuggirlo dal momento che i filosofi giudicano i demoni dèi? È
la voce di Socrate: “Se il demone acconsente”. Ed egli stesso, mentre
dimostrava di sapere qualcosa della verità negando gli dèi, quando fu prossimo
alla morte lasciò come obbligo che si sacrificasse un gallo ad Esculapio, forse
– credo – in onore del padre suo, giacché proprio Apollo aveva proclamato
Socrate il piú sapiente di tutti. O sconsigliato Apollo! Rese testimonianza di
sapienza a quell’uomo che negava l’esistenza degli dèi.
4 È
proprio vero che chi serve la verità con fede incontra tanti piú ostacoli sulla
propria strada, tanto piú è l’odio che la verità suscita tra gli uomini contro
di sé. Chi invece la inquina, ottiene naturalmente i favori di coloro che vanno
contro la verità. I filosofi simulano la verità e, cosí facendo, la guastano,
per riceverne gloria; i cristiani invece ricercano, come per un bisogno, la
verità e scrupolosamente la seguono preoccupandosi solo della propria salvezza.
È proprio per questo che tra noi e i filosofi non ci può essere nessuna
somiglianza né nella vita né, tanto meno, nei costumi, come voi invece credete.
Che cosa poté dire di certo a Creso, che lo interrogava sulla divinità, Talete,
colui – cioè – che è il principe dei fisici, dopo aver fatto trascorrere invano
e tante volte il tempo per riflettere? Qualunque artigiano cristiano trova Dio
e te lo dimostra e quindi designa anche con i fatti tutto ciò che si può sapere
di Dio, anche se Platone afferma che è difficile trovare il creatore
dell’universo e, anche quando lo si è trovato, è difficile parlarne a tutti.
5 Un’altra
accusa poi ci vien mossa: quella sull’onestà dei costumi. Io vi inviterei
allora a leggere quella parte della sentenza degli Ateniesi contro Socrate,
laddove costui è accusato di corrompere la gioventú. Peraltro il cristiano non
permette che si ami una donna che non sia sua, mentre so assai bene le turpi
relazioni tra Frine e Diogene e ho anche inteso che Speusippo morí proprio
mentre compiva un adulterio. Invece il cristiano non conosce che la sua sposa.
Democrito poi dimostrò di essere incontinente, giacché si accecò constatando
che non poteva posare lo sguardo su una donna senza sentire il desiderio di
possederla, o perlomeno il turbamento per non poterla avere. Mentre il
cristiano, senza bisogno di accecarsi, non guarda neppure le donne, essendo
premunito nel suo intimo contro ogni desiderio di illecite passioni.
6 E
giacché devo difendere anche la nostra umiltà, vi ricordo Diogene che con i
suoi piedi pieni di fango e pur con superbia cammina sopra i tappeti di
Platone, mentre invece il cristiano non ha mai superbia, neppure con i poveri.
E per difendere la nostra moderazione, vi ricordo Pitagora vissuto a Turi, e
Zenone, vissuto a Priene, i quali bramano appunto i posti di comando, mentre
invece i cristiani non ricercano neppure la carica di edile. E per difendere la
serenità della nostra coscienza, vi ricordo Licurgo che si lascia morir di fame
solo perché gli Spartani avevano modificato le sue leggi, mentre invece il
cristiano, quando viene condannato, ringrazia. E per mettere a confronto la
nostra lealtà, vi ricordo Anassagora che si rifiuta di restituire ai suoi
ospiti il denaro che quelli avevano depositato presso di lui, mentre invece il
cristiano viene riconosciuto fedele anche da coloro che non professano la sua
fede. E per difendere la nostra generosità, vi ricordo Aristotele che fa in
modo che il suo amico Ermia venga destituito dalla carica, mentre invece il
cristiano non opera il male nemmeno contro il suo nemico. E ancora: Aristotele
adulava vergognosamente Alessandro che era al potere, cosí come Platone viene
venduto schiavo da Dionisio per la sua voracità. Aristippo, pur essendo vestito
di porpora e sotto una gonfia apparenza di austerità, si dà ai piaceri, ed
Ippia viene ucciso proprio mentre trama contro la sua patria, quando invece un
cristiano non farebbe mai simili cose, neppure per difendere i propri compagni
che sono stati straziati da ogni genere di crudeltà.
7 Ma
qualcuno potrebbe dire che anche fra noi c’è qualcuno che si discosta dalle
norme della dottrina: sarà anche vero, ma costoro per noi non sono piú
cristiani, mentre per voi i filosofi, pur con le loro colpe, rimangono sempre
filosofi in nome e ad onor della sapienza.
8 E
allora che cosa c’è mai di simile tra un filosofo e un cristiano, fra uno che è
discepolo della Grecia e uno che è alunno del Cielo, fra chi smercia aridità e
chi dà invece ricchezza di vita, fra chi dice solo parole e chi opera fatti,
fra colui che distrugge e colui che edifica le cose, fra chi è amico della
menzogna e chi le è nemico, fra chi è pervertitore della verità e chi ne è
invece rafforzatore e diffusore, fra chi ruba alla verità e chi ne è custode?
b) “O misero Aristotele!” (De praescriptione haereticorum, c. 2)
1 Queste
sono le dottrine degli uomini e dei demoni, originate per le orecchie amanti di
novità dall’ingegno della sapienza mondana, che il Signore chiama stoltezza
[...].
2 Essa
è infatti materia della sapienza mondana, temeraria interprete della natura e
della disposizione divina. Le stesse eresie infine provengono dalla filosofia
[...].
3 O
misero Aristotele! Ritraendoci da queste cose, l’Apostolo [Paolo] ci scongiura
di guardarci dalla filosofia, scrivendo ai Colossesi (II, 8). Egli era stato ad
Atene, ed aveva sperimentato codesta sapienza umana, ostentatrice e
falsificatrice della verità, nei convegni, una sapienza divisa nelle sue eresie
attraverso la varietà delle sètte discordi fra loro. Che c’è dunque di comune
fra Atene e Gerusalemme? Che di comune all’Accademia e alla Chiesa? Che di
comune agli eretici e ai cristiani? Il nostro ammaestramento viene dal Portico
di Salomone; questi aveva insegnato anch’egli che occorre cercare il Signore
con la semplicità del cuore. Considerino bene coloro che han messo fuori il
cristianesimo stoico o platonico o dialettico. [...]
4 [Cristo
insegnò nel portico di Salomone] [...] Dopo Cristo noi non abbiamo bisogno di
andar curiosando; né abbiamo bisogno di tanto andar ricercando dopo il Vangelo.
Quando crediamo, non desideriamo nulla oltre che credere.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano,
1966, vol. III, pagg. 165-168; vol. V, pagg. 76-77)