Tillich, È possibile una sintesi tra filosofia e teologia

La possibilità di riconoscere alla teologia un posto tra le scienze poggia sulla considerazione che tutto il sapere umano si radica nell’assoluto. L’autore ripercorre in questa pagina il proprio itinerario al confine tra filosofia e teologia, che gli ha reso possibile riguadagnare nella modernità quella unità del sapere che è stata la grande eredità dello spirito medievale.

 

P. Tillich, Sulla linea di confine

 

Chiunque si trovi sul confine tra teologia e filosofia deve di necessità sviluppare una chiara concezione della relazione logica esistente fra di esse. Tentai di far questo nel mio libro Das System der Wissenschaften [Il sistema delle scienze]. Il mio interesse fondamentale riguardava questi problemi: “Come può la teologia essere scienza nel senso di Wissenschaft? Quali sono le relazioni tra le sue varie discipline e le altre scienze? Qual è l’aspetto specifico del suo metodo?”.

Risposi classificando tutte le discipline metodologiche come scienze del pensiero, dell’essere e della cultura; affermai che il fondamento di tutto il sistema delle scienze è la filosofia del significato (Sinnphilosophie); definii la metafisica come il tentativo di esprimere l’incondizionato in termini di simboli razionali e la teologia come metafisica teonoma. In questo modo tentai di conquistare un posto per la teologia nella totalità della conoscenza umana. Per il successo di questa analisi è necessario presupporre il riconoscimento del carattere teonomo della conoscenza stessa; vale a dire noi dobbiamo comprendere che il pensiero è radicato nell’assoluto come fondamento ed abisso del significato. La teologia ha quale oggetto esplicito ciò che è il presupposto implicito di tutto il conoscere. Cosí teologia e filosofia, religione e conoscenza, si comprendono a vicenda. Alla luce della posizione di confine, questa appare come la loro reale relazione.

Quando la filosofia esistenziale fu introdotta in Germania, compresi in modo nuovo la relazione fra teologia e filosofia. Le conferenze di Heidegger a Marburg, la pubblicazione del suo Sein und Zeit [Essere e tempo] ed anche la sua interpretazione di Kant furono significative a questo proposito. Sia per i seguaci che per gli avversari della filosofia esistenziale, il lavoro di Heidegger fu il piú importante dopo le Logische Untersuchungen [Ricerche logiche] di Husserl. Tre fattori contribuirono a farmi accettare la filosofia esistenziale. Il primo fu la mia profonda conoscenza dell’ultimo periodo di Schelling, nel quale egli delineò la sua filosofia dell’esistenza in risposta alla filosofia dell’essenza di Hegel. Il secondo fu la mia conoscenza, anche se limitata, di Kierkegaard, il vero fondatore della filosofia esistenziale. L’ultimo, infine, fu il mio entusiasmo per la ‘filosofia della vita’ di Nietzsche. Questi tre elementi sono presenti anche in Heidegger. La loro fusione in un misticismo soffuso di agostinianesimo rende ragione del fascino della filosofia di Heidegger. Gran parte della sua terminologia si ritrova nella letteratura dei sermoni del pietismo tedesco. La sua interpretazione dell’esistenza umana implica e sviluppa, anche se non intenzionalmente, una dottrina dell’uomo che è in fondo una dottrina della libertà e della limitatezza umana. Essa è in cosí stretta relazione con la interpretazione cristiana dell’esistenza umana che si è costretti a definirla ‘filosofia teonoma’ a dispetto dell’accentuato ateismo di Heidegger. Sicuramente non è una filosofia che presupponga la risposta teologica al problema della limitatezza umana e poi la spieghi in termini filosofici. Questa sarebbe una variante dell’idealismo e l’opposto di una filosofia della esistenza. La filosofia esistenziale pone in modo nuovo e radicale la domanda la cui risposta viene data in nome della fede, in teologia.

Queste idee, che sviluppai nelle mie conferenze all’università di Yale, condussero ad una piú netta distinzione fra teologia e filosofia di quanto avesse fatto la mia precedente filosofia della religione. Ma non ho mai negato la loro reciproca relazione.

Anche la mia carriera professionale è stata ‘sul confine’ fra le due discipline. Ricevetti il dottorato in filosofia a Breslavia e la licenza in teologia e piú tardi il dottorato in teologia (honoris causa) a Halle. Fui relatore di teologia a Berlino, professore di scienza delle religioni a Dresda e professore onorario di teologia a Lipsia, professore ordinario di filosofia a Francoforte sul Meno, professore delegato di teologia filosofica allo Union Theological Seminary di New York. Un cambiamento costante di facoltà e tuttavia nessun cambiamento di soggetto. Come teologo ho tentato di rimanere filosofo e viceversa. Sarebbe stato piú facile abbandonare il confine e scegliere o l’uno o l’altro.

Interiormente questa condotta mi era impossibile. Fortunatamente circostanze esterne si accordarono con le mie inclinazioni interne.

 

P. Tillich, Sulla linea di confine. Schizzo autobiografico, Queriniana , Brescia, pagg. 66-69