“Mistero” - secondo Toland - è sinonimo di “superiore alla
ragione”, cioè non è comprensibile ad essa. La ragione è in grado di
comprendere tutto ciò che la riguarda: ciò che è “mistero” è quindi irrilevante
per la ragione e per la vita dell'uomo. Dio, di cui la ragione è dono, può
tenere nascosto agli uomini soltanto ciò “che non abbiamo affatto bisogno di
comprendere”.
J. Toland, Cristianesimo senza
misteri, Sez. III, Capp. I, II
Siamo
giunti infine a esaminare se qualche dottrina del Vangelo è superiore,
per quanto non contraria, alla ragione. Questa espressione è intesa in un
duplice significato. In primo luogo essa indica una cosa comprensibile in se
stessa, ma cosí nascosta da espressioni metaforiche, simboli e cerimonie, che
la ragione non può penetrare attraverso il velo, né vedere che cosa c'è sotto
di esso, finché non venga tolto. In secondo luogo sta a significare una cosa
per sua natura incomprensibile, che è impossibile giudicare in base alle nostre
facoltà e idee comuni, per quanto rivelata in modo assolutamente chiaro. In
entrambi questi significati l'espressione “essere al di sopra della ragione” si
identifica con “mistero”: e in effetti questi sono termini equivalenti in
teologia [...].
La ragione
è che Dio ha provveduto affinché, senza conoscere nulla dei corpi all'infuori
delle loro proprietà, possiamo capire di essi esclusivamente ciò che è utile e
necessario a noi: e questo è tutto ciò che occorre alla nostra situazione
presente. Cosí i nostri occhi non ci sono dati per vedere oggetti di ogni
dimensione, né forse alcuna cosa come è in sé, ma solo in quanto ha qualche
relazione con noi. Ciò che è troppo piccolo, come sfugge alla nostra vista,
cosí non può procurarci dei danni o dei vantaggi: e noi abbiamo una vista piú
chiara dei corpi quanto piú ci avviciniamo ad essi, poiché allora diventano piú
utili o piú dannosi; ma quando ce ne allontaniamo, perdiamo la percezione di
essi insieme con i loro influssi [...]. Per parlare in modo corretto dunque si
deve considerare che noi comprendiamo una cosa quando ci sono note le
sue principali proprietà e le loro diverse funzioni: infatti in tutti gli
autori precisi comprendere ha lo stesso significato di conoscere;
e poiché non possiamo avere alcuna idea di quanto non è conoscibile, esso non
rappresenta nulla per noi. é perciò inesatto dire che una cosa è al di sopra
della nostra ragione, perché non sappiamo di essa piú di quanto ci riguarda, e
ridicolo sospendere le nostre indagini su di essa per questo motivo [...]. Ora,
osservando che le definizioni delle cose sono ricavate dalle loro proprietà
note, e che nessuna proprietà è conoscibile all'infuori di quelle che ci
riguardano, o servono a scoprirne altre che ci riguardano, non possiamo essere
responsabili di non comprenderne altre, né ci può essere chiesto di piú da
uomini ragionevoli, e meno ancora dalla divinità infinitamente saggia [...].
L'applicazione
di questo discorso al mio argomento non comporta difficoltà: in primo luogo
risulta che nessuna dottrina cristiana, cosí come nessun comune fenomeno
naturale, può essere considerata un mistero perché non abbiamo un'idea adeguata
e completa di tutte le proprietà che le appartengono. In secondo luogo, che ciò
che è rivelato nella religione, in quanto estremamente utile e necessario, deve
e può essere facilmente compreso e trovato in accordo con le nostre nozioni
comuni, come avviene per le proprietà da noi conosciute del legno o della
pietra, dell'aria, dell'acqua e simili. E in terzo luogo che quando noi
spieghiamo tali dottrine in modo altrettanto familiare rispetto a quello che
usiamo per la nostra conoscenza delle cose naturali (e questo io sostengo che è
possibile), possiamo dire con ragione di comprendere le une come le altre
[...].
[...]
Credo ora
di poter concludere legittimamente che nulla è un mistero poiché non ne
conosciamo l'essenza, dal momento che essa non risulta conoscibile in sé, né
mai pensata da noi: cosí che lo stesso Essere divino non può essere considerato
misterioso da questo punto di vista piú di quanto possa essere considerata tale
la piú spregevole delle sue creature. E non mi preoccupo molto del fatto che
queste essenze sfuggano alla mia conoscenza: poiché io mi mantengo fermo nella
convinzione che ciò che alla infinita bontà non è piaciuto rivelarci, o abbiamo
capacità sufficienti per scoprirlo da soli, o non abbiamo affatto bisogno di
comprenderlo.
(C. Giuntini, Toland e i liberi
pensatori del '700, Sansoni, Firenze, 1974, pagg. 56-59)