Tomasi di Lampedusa, La Rivoluzione inglese

Giuseppe Tomasi di Lampedusa (1896-1957) è uomo di grande cultura e alcune pagine dei suoi scritti “letterari” hanno un notevole spessore filosofico. Quando raduna intorno a sé alcuni amici per parlare di letteratura francese e di letteratura inglese nascono vere e proprie “lezioni” nelle quali, alla sensibilità di scrittore, si affianca un acume storico che porta a interpretazioni originali di fatti rilevanti. Nella pagina che segue Tomasi offre una chiave di lettura provocatoria della “Rivoluzione” inglese: le virgolette del titolo sottolineano che per lui quella di Cromwell non è una rivoluzione, ma addirittura un movimento controrivoluzionario.

Le considerazioni di Tomasi possono essere utili per capire - come dice egli stesso - il punto di vista di un uomo del 1642, ad esempio di Thomas Hobbes, la cui teorizzazione dell'assolutismo non ha nulla di retrivo e di conservatore, ma è addirittura rivoluzionaria.

 

G. Tomasi di Lampedusa, Letteratura inglese (dalle origini al Settecento), parte II

 

A prima vista la “Rivoluzione” inglese presenta un perfetto parallelo con quella che doveva scoppiare in Francia centocinquanta anni dopo. Un Parlamento in rivolta contro il sovrano, una guerra civile, il processo e l'esecuzione capitale del Re sconfitto, una dittatura militare che s'impadronisce del potere e, dopo il ritorno dell'erede al trono, la Restaurazione monarchica.

Considerando lo svolgersi degli avvenimenti un po' piú da vicino ci si accorge di già delle differenze notevolissime.

Considerando, come si deve, lo svolgimento ideologico ci si accorge addirittura che una rivoluzione non vi fu affatto. La cosiddetta “Rivoluzione” inglese fu invece un movimento contro-rivoluzionario, una forte e sanguinosa reazione della nazione contro il modernismo e le innovazioni che il Re intendeva introdurre nella costituzione politica del paese.

Giacomo I con circospezione, Carlo I piú apertamente avevano l'intenzione di adottare in Inghilterra i sistemi “moderni” (per allora) di maggiore concentrazione del potere, di divenire sovrani assoluti cosí come lo erano divenuti, con risultati ottimi per quel che riguardava la potenza nazionale, i Re di Spagna e di Francia. Il paese, abituato alle riforme parlamentari, si rifiutò di seguire per questa via l'avventuroso sovrano. Il Re troppo “progressista” (questo aggettivo applicato a chi voleva fondare l'assolutismo può sembrare strano oggi ma non lo era affatto nel 1642) venne combattuto, sconfitto, processato e giustiziato. Ma non venne mai deposto. Carlo I fu considerato legittimo sovrano e ricevette onori legali fino all'istante in cui depose his comely head [“la sua graziosa testa”] sul ceppo. Del figlio venne “sospesa” la successione al trono. Gli sporadici tentativi di instaurare una repubblica vennero soppressi da Cromwell stesso con estremo rigore.

Il tentativo di “parlamentizzare” lo stato monarchico si sarebbe potuto credere riuscito. Sennonché,come sempre avviene, il contagio ideologico aveva operato. E il Lord Protettore, Cromwell, chiuse il Parlamento e governò con energia spietata. Propro quello che Carlo I avrebbe voluto fare, se avesse avuto di Cromwell le capacità intellettuali e il carattere indomabile.

Ma anche a questo dominio il paese si ribellò e, morto Cromwell, il figlio di Carlo I risalí al trono senza troppe scosse e senza alcun spargimento di sangue, impegnandosi però a rispettare ed aumentare le libertà parlamentari.

Le vicende successive non ci riguardano, per ora. Ci basti constatare che al 1660 (data della Restaurazione) il popolo inglese aveva potuto mantenere, solo in Europa, le due istituzioni alle quali teneva: la Monarchia e il Parlamento.

 

(G. Tomasi di Lampedusa, Letteratura inglese (dalle origini al Settecento), Mondadori, Milano, 1996, pagg. 179-180)