Dopo essersi
posto il problema se Dio esiste, Tommaso passa ad indicare le sue famose
“cinque vie” per arrivare a Dio attraverso la natura.
Summa theologiae, I, q. 2, a. 3
[Premessa]
Sembra
che Dio non esista. E infatti:
1 1. Se
di due contrari uno è infinito, l’altro resta completamente distrutto. Ora, nel
nome Dio s’intende affermato un bene infinito. Dunque, se Dio esistesse,
non dovrebbe esserci piú il male. Viceversa nel mondo c’è il male. Dunque Dio
non esiste.
2 2.
Ciò che può essere compiuto da un ristretto numero di cause, non si vede perché
debba compiersi da cause piú numerose. Ora tutti i fenomeni che avvengono nel
mondo, potrebbero essere prodotti da altre cause, nella supposizione che Dio
non esistesse: poiché quelli naturali si riportano, come al loro principio,
alla natura, quelli volontari, alla ragione o volontà umana. Nessuna necessità,
quindi, della esistenza di Dio.
3 In
contrario: Nell’Esodo si dice, in persona di Dio: “Io sono Colui che è”.
4 Rispondo:
Che Dio esista si può provare per cinque vie.
[a. La prima via Dal mutamento]
La
prima e la piú evidente è quella che si desume dal moto. È certo infatti e
consta dai sensi, che in questo mondo alcune cose si muovono. Ora, tutto ciò
che si muove è mosso da un altro. Infatti, niente si trasmuta che non sia
potenziale rispetto al termine del movimento; mentre chi muove, muove in quanto
è in atto. Perché muovere non altro significa che trarre qualche cosa dalla
potenza all’atto; e niente può essere ridotto dalla potenza all’atto se non
mediante un essere che è già in atto. Per es., il fuoco che è caldo attualmente
rende caldo in atto il legno, che era caldo soltanto potenzialmente, e cosí lo
muove e lo altera. Ma non è possibile che una stessa cosa sia simultaneamente e
sotto lo stesso aspetto in atto ed in potenza: lo può essere soltanto sotto
diversi rapporti: cosí ciò che è caldo in atto non può essere insieme caldo in
potenza, ma è insieme freddo in potenza. È dunque impossibile che sotto il
medesimo aspetto una cosa sia al tempo stesso movente e mossa, cioè che muova
se stessa. È dunque necessario che tutto ciò che si muove sia mosso da un
altro. Se dunque l’essere che muove è anch’esso soggetto a movimento, bisogna
che sia mosso da un altro, e questo da un terzo e cosí via. Ora, non si può in
tal modo procedere all’infinito perché altrimenti non vi sarebbe un primo
motore, e di conseguenza nessun altro motore, perché i motori intermedi non
muovono se non in quanto sono mossi dal primo motore, come il bastone non muove
se non in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare ad un primo
motore che non sia mosso da altri; e tutti riconoscono che esso è Dio.
[b. La seconda via Dalla causalità
efficiente]
La seconda via parte dalla nozione di
causa efficiente. Troviamo nel mondo sensibile che vi è un ordine tra le cause
efficienti, ma non si trova, ed è impossibile, che una cosa sia causa
efficiente di se medesima; ché altrimenti sarebbe prima di se stessa, cosa
inconcepibile. Ora, un processo all’infinito nelle cause efficienti è assurdo.
Perché in tutte le cause efficienti concatenate la prima è causa
dell’intermedia, e l’intermedia è causa dell’ultima, siano molte le intermedie
o una sola; ora, eliminata la causa e tolto anche l’effetto: se dunque
nell’ordine delle cause efficienti non vi fosse una prima causa, non vi sarebbe
neppure l’ultima, né l’intermedia. Ma procedere all’infinito nelle cause
efficienti equivale ad eliminare la prima causa efficiente; e cosí non avremo
neppure l’effetto ultimo, né le cause intermedie: ciò che evidentemente è
falso. Dunque bisogna ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano
Dio.
[c. La terza via Dalla contingenza]
La terza via è presa dal possibile [o
contingente] e dal necessario, ed è questa. Tra le cose noi ne troviamo di
quelle che possono essere e non essere. Ora, è impossibile che tutte le cose di
tal natura siano sempre state, perché ciò che può non essere, un tempo non
esisteva. Se dunque tutte le cose [esistenti in natura sono tali che] possono
non esistere, in un dato momento niente ci fu nella realtà. Ma se questo è
vero, anche ora non esisterebbe niente, perché ciò che non esiste, non comincia
ad esistere se non per qualche cosa che è. Dunque, se non c’era ente alcuno, è
impossibile che qualche cosa cominciasse ad esistere, e cosí anche ora non ci
sarebbe niente, il che è evidentemente falso. Dunque non tutti gli esseri sono
contingenti, ma bisogna che nella realtà vi sia qualche cosa di necessario.
Ora, tutto ciò che è necessario, o ha la causa della sua necessità in un altro
essere oppure no. D’altra parte, negli enti necessari che hanno altrove la
causa della loro necessità, non si può procedere all’infinito, come neppure
nelle cause efficienti secondo che si è dimostrato. Dunque bisogna concludere
all’esistenza di un essere che sia di per sé necessario, e non tragga da altri
la propria necessità, ma sia causa di necessità agli altri. E questo tutti
dicono Dio.
[d. La quarta via Dai gradi di perfezione]
La
quarta via si prende dai gradi che si riscontrano nelle cose. È un fatto che
nelle cose si trova il bene, il vero, il nobile e altre simili perfezioni in un
grado maggiore o minore. Ma il grado maggiore o minore si attribuiscono alle
diverse cose secondo che si accostano di piú o di meno ad alcunché di sommo e
di assoluto; cosí piú caldo è ciò che maggiormente si accosta al sommamente
caldo. Vi è dunque un qualche cosa che è vero al sommo, ottimo e nobilissimo, e
di conseguenza qualche cosa che è il supremo ente; perché, come dice
Aristotele, ciò che è massimo in quanto vero, è tale anche in quanto ente. Ora,
ciò che è massimo in un dato genere, è causa di tutti gli appartenenti a quel
genere, come il fuoco, caldo al massimo, è cagione di ogni calore, come dice il
medesimo Aristotele. Dunque vi è qualche cosa che per tutti gli enti è causa
dell’essere, della bontà e di qualsiasi perfezione. E questo chiamiamo Dio.
[e. La quinta via Dal finalismo]
La quinta via si desume dal governo
delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza,
cioè i corpi fisici, operano per un fine, come apparisce dal fatto che esse
operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione:
donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro
fine. Ora, ciò che è privo d’intelligenza non tende al fine se non perché è
diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall’arciere.
Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali
sono ordinate a un fine: e quest’essere chiamiamo Dio.
(Tommaso d’Aquino, La somma
teologica, Salani, Firenze, 1964, vol. I, pagg. 180, 182, 184 e 186)