La ragione
umana ha dei limiti che le sono naturali. Essi derivano dal suo continuo
bisogno di far riferimento ai dati dell’esperienza sensibile.
Summa contra Gentiles, I, 3
In tutto ciò che affermiamo intorno a Dio
abbiamo due classi di verità. Alcune verità trascendono tutto il potere della
ragione umana, come la dottrina che Dio è trino e uno. Altre invece
appartengono alla sfera della ragione naturale, come l’esistenza di Dio, la sua
unità e simili; e queste cose i filosofi hanno affermato con processo
dimostrativo alla luce della ragione naturale. Che vi siano verità teologiche
trascendenti essenzialmente la ragione è di piena evidenza. E difatti, siccome
la base di tutta la scienza, che la ragione umana acquista di una cosa, è
l’intelligenza della sua essenza [...], ne segue che la misura della conoscenza
dell’essenza sia anche la misura di ciò che si conosce di quella cosa. Onde, se
l’intelletto umano comprende l’essenza di qualche cosa, come di una pietra o di
un triangolo, nessuno dei suoi lati intelligibili trascende il potere della
ragione umana. Ma questo non è il caso di Dio di fronte a noi. Poiché
l’intelletto umano non può naturalmente arrivare ad intuire la di lui essenza
per il fatto che il suo conoscere in questa vita parte dal senso. E pertanto
ciò che non cade sotto l’ambito del senso non può essere conosciuto
dall’intelletto umano se non nei limiti della conoscenza sensibile. Ora le cose
sensibili non possono elevare il nostro intelletto a un piano tale in cui si
scorga il ciò che è della sostanza divina, data la loro inadeguatezza
alla causa che le produce. Tuttavia il nostro intelletto è guidato dalle cose
sensibili a conoscere il che è di Dio e quanto di simile sia da
attribuire al Primo Principio. Vi sono dunque alcune verità divine
proporzionate alla ragione umana e altre che trascendono assolutamente il
potere della ragione umana.
(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1966, vol. V,
pag. 128-129)