La
traduzione e l'interpretazione delle Storie diTucidide ebbe una
grande influenza nella formazione del pensiero di Thomas Hobbes. Vissuto
all'incirca fra il 460 e il 400 a.C., Tucidide, ateniese fedele a Pericle, ebbe
- come tutti i Greci della sua generazione - la vita segnata dalla Guerra del
Peloponneso, della quale fu attento storico. La sua narrazione, nonostante il
coinvolgimento personale, ha ben poco della cronaca e si presenta piuttosto
come una distaccata indagine medica, condotta attraverso una “anamnesi” e una
“diagnosi” e conclusa con una “prognosi”: la storia, in questo modo, non è
soltanto scienza del passato, ma anche scienza dell'avvenire. Il “distacco” di
Tucidide dai fatti che narra gli consente di denunciare, nella sobrietà della
narrazione, le violenze spesso gratuite e ingiustificate di cui è costellata la
guerra. Proponiamo la lettura di una pagina relativa alla vicenda dell'Isola di
Melo (Milo): gli Ateniesi organizzarono una spedizione e occuparono l'isola, i
cui abitanti erano coloni dei Lacedemoni (Spartani), ma mantenevano una
rigorosa neutralità. Ebbe quindi inizio una trattativa nella quale i Meli,
fiduciosi, offrirono la loro amicizia: ma ciò non bastò agli Ateniesi, che
dapprima assediarono le città dell'isola e poi la distrussero, perpetrando una
vera e propria strage.
Tucidide,
Le storie, V, 112-116
112. E
gli Ateniesi abbandonarono la discussione; i Meli, trattisi in disparte,
siccome le loro vedute erano pressappoco simili alle risposte date nel
dibattito, cosí risposero: “Le nostre convinzioni non sono mutate, o Ateniesi,
né in cosí breve tempo priveremo della sua libertà una città abitata già da
settecento anni, ma fiduciosi nella sorte che ci manda la divinità, la quale ha
sempre salvato la città fino ai nostri giorni, fiduciosi inoltre nel soccorso
degli uomini e dei Lacedemoni, noi cercheremo di salvarci. Noi vi proponiamo di
esservi amici, e nemici di nessuna delle due parti in lotta, e vi invitiamo a
ritirarvi dalla nostra terra dopo aver concluso un trattato che sembri essere
utile sia a noi sia a voi”.
113.
Cosí dunque risposero i Meli; gli Ateniesi, sciogliendo ormai il convegno
dissero: “Certo, a giudicare da queste vostre decisioni, voi soli, fra tutti
quelli che conosciamo, considerate piú sicuro il futuro del presente e, per il
fatto che lo desiderate, contemplate l'incerto come se stesse già realizzandolo
e, gettandovi nelle braccia dei Lacedemoni e delle speranze e della sorte,
quanto piú siete pieni di fiducia, tanto piú incontrerete anche gravi
sciagure”.
114. E
gli ambasciatori ateniesi tornarono al loro esercito: gli strateghi ateniesi,
siccome i Meli non cedevano, si dettero subito a cominciar la guerra e,
divisosi il lavoro città per città, assediarono tutto all'intorno i Meli. [...]
116.
[...] E nello stesso periodo i Meli nuovamente conquistarono, in un altro
punto, una certa parte del muro ateniese d'assedio, giacché la guarnigione
presente non era numerosa. E quando avvennero questi fatti, arrivò da Atene un
altro esercito al comando di Filocrate di Demea, e i Meli ormai furono stretti
da assedio a tutta forza; verificatosi anche un tradimento, si arresero agli
Ateniesi a condizione che questi decidessero dei Meli secondo la loro
discrezione. E gli Ateniesi uccisero tutti i Meli adulti che catturarono e
resero schiavi le donne e i bambini; abitarono quindi loro stessi la località
dopo avervi inviato cinquecento coloni.
(Erodoto
e Tucidide, Storici greci, Sansoni, Firenze, 1993, pagg. 708-709)