TOMMASO D'AQUINO, ORIGINE EXTRASOGGETTIVA DELLA CONOSCENZA SENSIBILE
Empedocle e quanti sostennero che il simile si conosce col simile, ammisero che il senso era in atto le stesse cose sensibili. Infatti, perché l'anima sensitiva potesse conoscere ogni realtà sensibile, doveva in qualche modo esser composta di tutte le cose sensibili in quanto, secondo Empedocle, risultava di elementi di cose sensibili.
Donde scaturivano due conseguenze. La prima: che il senso s'identifica con le stesse cose sensibili in atto, giacché è composto di queste. E siccome le realtà sensibili in atto si possono sentire, dunque gli stessi sensi potevano percepire sé stessi. — La seconda: che, dal momento che il senso può sentire se sono presenti le cose sensibili, dato che queste sono in alto nel senso che se ne compone, ne segue che il senso può sentire senza le realtà sensibili esteriori. Ma l'una e l'altra cosa sono false. L'anima sensitiva non è, infatti, sensibile in atto, ma solo in potenza. E per questo i sensi non sentono senza l'azione delle realtà sensibili esteriori, come i] combustibile che è acceso solo in potenza, non si accendo da sé stesso senza l'innescamento dall'esterno. Che se fosse acceso in atto, brucerebbe sé stesso, e non avrebbe bisogno, per accendersi, del fuoco esterno.
Dal sin. qui detto, Aristotele dimostra che la tesi degli antichi : cioè che il simile si senta col simile, non può esser vera. Dice, dunque, che tutto ciò che è in potenza, patisce ed è mosso da un agente attivo, attualmente esistente, il quale, mentre trae all'atto le qualità ricevute passivamente, le assimila a sé. Cosi, sotto un certo aspetto, uno riceve passivamente l'azione da qualcosa di simile a sé; e sotto un altro aspetto, da qualcosa di dissimile... All'inizio del processo sensitivo, mentre è nella fase di trasmutazione e passività, uno è dissimile; ma al termine del processo, a trasmutazione avvenuta, è simile.
Così, dunque, anche il senso, quando è già attuato dalla realtà sensibile, è simile ad essa; ma prima non le è simile. Il che non avendo gli antichi distinto, caddero in errore.
(Tommaso d'Aquino, De anima, lib. II, lect. 10, passim)