TOMMASO D'AQUINO, NON CONOSCIAMO DIRETTAMENTE LE SPECIE
Le specie intelligibili, dalle quali è attuato l'intelletto possibile» non costituiscono l'oggetto dell'intelligenza. Il loro rapporto all'intelligenza non è quello di cosa conosciuta, ma di cosa con cui si conosce. Come, infatti, la specie che è nella vista, non è ciò che si vede, ma ciò con cui la vista vede — e ciò che si vede è il colore che ai trova nel corpo —; similmente, ciò che l'intelletto conosce è la natura universale (quidditas) che è nelle cose; non dunque la specie intelligibile, se non in quanto l'intelletto riflette su sé stesso. È chiaro, infatti, che le scienze riguardano le cose che l'intelletto comprende: esse hanno appunto le cose per oggetto e non le specie o le astrazioni intelligibili, se non per la sola scienza della ragione (33). Quindi è manifesto che non la specie intelligibile, ma la natura della cosa conosciuta è oggetto del pensiero. Donde pure risulta che è fasulla la ragione di alcuni che vogliono dimostrare che l'intelletto possibile è uno in tutti per il fatto che è la stessa la cosa che da tutti si conosce, mentre dovrebbero essere numericamente molteplici le specie se fossero molti gl'intelletti. Ma quel che si conosce non è la specie intelligibile, ma la sua somiglianza nell'anima; e quindi, se sono più gl'intelletti aventi in sé la somiglianza della medesima cosa, questa stessa sarà la cosa conosciuta presso di tutti (34).
(Tommaso d'Aquino, De anima, lib. III, lect. 8)