TOMMASO D'AQUINO, LA CREAZIONE DAL NULLA COME VERITA' FILOSOFICA

 

Ci si domanda se possa esistere qualcosa che non sia stato creato da Dio. Rispondo: si deve dire che gli antichi progredirono nella considerazione della natura delle cose secondando l’ordine della conoscenza umana. Poiché la conoscenza umana parte dai sensi per giungere all’intelletto, i filosofi più antichi si preoccuparono delle cose sensibili e da esse gradualmente pervennero a quelle intelligibili. Stante che le forme accidentali, e non forme sostanziali, sono di per sé oggetto della conoscenza sensibile, i primi filosofi dissero che tutte le cose sono accidenti e solo la materia è sostanza. Poiché la sostanza è causa sufficiente degli accidenti, che vengono causati dai principi sostanziali, ne è derivato che i filosofi antichi non hanno ammesso altra causa se non la materia. Ma, dal momento che affermavano che sono causate dalla materia tutte le cose che accadono nella realtà sensibile, sono stati costretti ad asserire che non esiste una causa della materia, e a negare del tutto la causa efficiente. I filosofi successivi presero in qualche considerazione le forme sostanziali, ma non pervennero alla conoscenza delle cause universali, e la loro attenzione si arrestò alle forme speciali. Essi perciò ammisero delle cause agenti, non però quelle che conferiscono l’essere alle cose in modo universale, bensì quelle che comportano il cambiamento della materia verso questa o quella forma: per esempio, l’intelletto, l’amicizia o la contesa, la cui azione facevano consistere nel separare o nell’unire. Anche secondo loro, pertanto, non tutti gli enti derivano da una causa efficiente, ma la materia era presupposta all’azione della causa agente. I filosofi successivi, come Platone, Aristotele ed i loro seguaci, pervennero alle considerazioni dello stesso essere universale; solo loro perciò ammisero una qualche causa universale delle cose, dalla quale tutte le altre cose vengono all’essere, come spiega Sant’Agostino. Con questa opinione concorda anche la Fede cattolica. Questa posizione può essere dimostrata con tre argomentazioni, di cui la prima è la seguente. Se si riscontra che una cosa è comune a più realtà, è necessario che venga causata in esse da un’unica causa; non è infatti possibile che quella cosa comune convenga di per sé a ciascuna realtà, poiché ciascuna realtà, per quello che essa è, si distingue dalle altre, e la diversità delle cause produce la diversità degli effetti. Ora, siccome si riscontra che l’essere è comune a tutte le cose, le quali, per quello che sono in sé, si distinguono l’una dall’altra, è necessario che l’essere non venga loro attribuito in virtù di sé stesse, ma in virtù di un’unica causa. Questo ragionamento risulta essere di Platone, il quale sostenne che prima di ogni molteplicità c’è un’unità, non solo riguardo ai numeri, bensì anche riguardo alla natura delle cose. Il secondo argomento è il seguente: se si riscontra che una perfezione è differentemente partecipata da più individui, è necessario che venga attribuita a ciascuno degli individui in cui si riscontra in maniera imperfetta da colui che la possiede in modo perfettissimo. Infatti quelle perfezioni positive che si attribuiscono secondo diversi gradi, devono questa gradualità alla minore o maggiore vicinanza di qualcosa che è in sé uno: nel caso che quella cosa convenisse di per sé stessa a ciascuno degli individui, non ci sarebbe motivo della maggiore perfezione di uno rispetto all’altro; per esempio il fuoco, che è il vertice del caldo, è principio del calore in tutte le cose calde. D’altronde si deve porre un unico ente, perfettissimo e verissimo: e lo si prova in base al fatto che, come è stato dimostrato dai filosofi, esiste un primo motore, assolutamente immobile e perfettissimo. È perciò necessario che tutti gli altri enti meno perfetti ricevano l’essere da lui. Questa è la prova di Aristotele. Il terzo argomento è il seguente: ciò che esiste in virtù di un altro deve essere ricondotto a ciò che esiste di per sé, come alla propria causa. Così, se esistesse un unico calore esistente di per sé, esso dovrebbe essere la causa di tutti i corpi caldi, che possiedono il calore per partecipazione. D’altronde si deve porre un ente che coincida con il suo stesso essere, e lo si prova così: deve esistere un ente primo che sia atto puro, in cui non sia alcuna composizione. Perciò è necessario che da quell’unico ente derivino l’essere di tutte le cose che non coincidono con il loro stesso essere, ma hanno l’essere per partecipazione. Questo è l’argomento di Avicenna. In questo modo risulta dimostrata razionalmente e creduta per via di Fede la verità che tutte le cose sono state create da Dio.

 

(Tommaso d'Aquino, La potenza di Dio, III, 5)