TOMMASO D'AQUINO, DIFFERENZE TRA CONOSCENZA SENSITIVA E INTELLETTIVA

 

La prima differenza fra il sentire in atto e il pensare..., deriva dalla differenza dei loro rispettivi oggetti, cioè dei sensibili e degli intelligibili (13), che si sentono e si pensano attualmente. I sensibili, infatti, che sono i principi attivi del processo sensitivo — cioè il visibile, l'udibile e simile — esistono fuori dell'anima. E la ragione è che dei sensi in atto, gli oggetti sono i singolari esistenti fuori dell'anima; la scienza invece verte circa gli oggetti universali, che in qualche modo sono dentro l'anima (14). Donde appare che, chi è già in possesso della scienza, non occorre che cerchi fuori i suoi oggetti, ma li ha già dentro di sé, e può riflettervi su quand'egli vuole, a meno di non esservi impedito per accidens (15). Nessuno invece può sentire quand'egli vuole, perché non ha in sé gli oggetti sensibili, ma bisogna che gli si presentino esteriormente. E come avviene dell'operazione dei sensi, così accade delle scienze dei sensibili: perché anche i sensibili sono del numero delle realtà singolari e che sono fuori dell'anima. Ragione per cui l'uomo non può studiare scientificamente tutti i sensibili che vuole, ma solo quelli che percepisce col senso. Si consideri ora perché il senso ha per oggetto cose singolari, mentre la scienza cose universali, e in che modo gli universali si trovino nell'anima. Quanto al primo punto, è da sapere che il senso è una facoltà che ha sede nell'organo corporale, l'intelligenza è invece una facoltà immateriale, che non è atto di alcun organo corporale. Ogni cosa poi è ricevuta da un'altra secondo la capacità di questa; e ogni conoscenza avviene per ciò che il conosciuto è in qualche modo nel conoscente, vale a dire con la sua somiglianza, giacché il conoscente in atto è lo stesso conosciuto in atto. Bisogna dunque che il senso riceva la somiglianza della cosa sentita corporalmente e materialmente; l'intelletto invece riceve la somiglianza dell'oggetto conosciuto intellettualmente, in modo incorporeo e immateriale. Ma l'individuazione della natura comune nelle cose corporee e materiali dipende dalla materia corporea contenuta sotto determinate dimensione, mentre al contrario l'universale (conosciuto dall'intelletto) si ricava per astrazione da questa materia e dalle condizioni materiali individuanti. Dunque, è chiaro che la somiglianza della cosa ricevuta nel senso rappresenta la cosa stessa in quanto è singolare; ricevuta invece nell'intelletto rappresenta la cosa secondo l'aspetto di una natura universale : e di qui dipende che il senso conosce le realtà singolari, l'intelletto invece quelle universali che formano l'oggetto della scienza. Circa il secondo punto (.perché la scienza è degli universali), bisogna riflettere che l'universale può prendersi in due modi. In uno, può direi universale la stessa natura comune in quanto soggiace al potere astrattivo universalizzante; in un altro modo, poi, in sé stesso. Come il colore bianco può intendersi in due maniere: o è la cosa che è tinta a bianco, o è lo stesso bianco che sta sotto la bianchezza (16). Ora, questa natura suscettibile di astrazione universalizzante — ad es. la natura di uomo — ha un doppio essere: un essere certamente materiale, col quale esiste nella materia della natura; e un essere immateriale, col quale esiste nell'intelletto. Di conseguenza, in quanto detta natura ha un'esistenza nella materia naturale, non può esser suscettibile di comprensione universale perché è individuata dalla materia. L'intelligenza universale, dunque, gli sopravviene in quanto è astratta dalla materia individuale. Ma non è possibile che venga astratta dalla materia individuale realmente, come ammisero i platonici. Non si da infatti un uomo naturale, e cioè reale, se non con queste carni e queste ossa qui, come prova il filosofo nel libro VII della Metafìsica. Resta allora che la natura umana, oltre i princìpi individuanti, non esiste che solo nell'intelletto. Ne tuttavia l'intelletto è falso mentre apprende la natura comune di là dai principi individuanti senza dei quali essa non può esistere nelle cose. Giacché l'intelletto non conosce questo: che cioè la natura comune esiste senza i princìpi individuanti, ma apprende la natura comune non apprendendo i princìpi individuanti. E questo non è falso. Sarebbe invece falsa la prima ipotesi: se cioè da un uomo bianco separassi in tal modo la bianchezza, da conoscere che egli non è bianco: che allora tale conoscenza sarebbe errata. Ma se separassi la bianchezza dell'uomo, così da conoscer luomo senza nulla sapere della sua bianchezza, l'apprensione non sarebbe falsa. Non si esige, infatti, per la verità dell'apprensione che, per il fatto di apprender qualche cosa, essa apprenda pure tutto ciò che a questa cosa appartiene. Così, dunque, l'intelletto senza falsità astrae il genere dalle specie, in quanto intende la natura del genere senza intenderne le differenze. E similmente astrae le specie dagl'individui, in quanto intende la natura della specie senza badare ai princìpi individuanti. È chiaro allora che alla natura comune non può attribuirsi una considerazione universalizzante, se non quanto all'esistenza che assume nell'intelletto (17). Così solo, infatti, qualcosa di uno è predicabile dei molti, in quanto la si concepisce al di là dei principi con cui l'uno è diviso nei molti. Dunque, gli universali, in quanto universali, non esistono che nell'anima; ma le nature medesime, considerate universalmente dal pensiero, esistono in sé nelle cose. Ed è perciò che i nomi comuni significanti le nature stesse, si predicano degl'individui e non stanno ad indicare la loro rappresentazione mentale. Socrate, infatti, è un uomo, ma non è la specie umana, per quanto l'uomo in generale sia specie (18).

 

(Tommaso d'Aquino, De anima, lib. II, lect. XII)