TOMMASO D'AQUINO, NECESSITA' DELL'INTELLETTO AGENTE
Secondo l'opinione di Platone, non c'è alcuna necessita, di ammettere un intelletto agente per rendere attualmente intelligibili le cose... Egli riteneva che le forme delle cose naturali esistessero in sé senza materia, e di conseguenza che fossero come tali intelligibili, giacché una cosa in tanto è intelligibile in atto, in quanto è immateriale (23). Simili forme egli chiamava specie o idee, dalla cui partecipazione — diceva — era formata anche la materia corporea, affinché gli individui fossero costituiti nei propri generi e nelle proprie specie; e dalla cui partecipazione erano formati anche i nostri intelletti al fine di aver la scienza dei generi e delle specie delle cose. Ma poiché Aristotele non ammise che le forme delle cose naturali esistessero senza materia, e le forme esistenti nella materia non sono intelligibili in atto: ne seguiva che le nature o forme delle cose sensibili che noi conosciamo, non erano intelligibili in atto. Ora, nulla passa dalla potenza all'atto se non per un essere in atto, come il senso diviene sensazione in atto per il sensibile. Bisognava dunque ammettere una certa virtù intellettuale capace di produrre gl'intelligibili in atto per via dell'astrazione delle specie dalle condizioni materiali. Ed ecco la necessità di ammettere un intelletto agente.
(Tommaso d'Aquino, Summa Theologica, p. I, q. 79, art. 3)