Miguel de
Unamuno (1864-1936) mette in evidenza le insufficienze del razionalismo, del
deismo e dell’idealismo. Queste filosofie non sono in grado di rendere conto
della realtà specifica dell’individuo, della concretezza dell’esistenza
personale e del bisogno che l’uomo ha di un Dio personale e trascendente.
In questa
lettura il filosofo spagnolo afferma che la tradizione razionalistica greca e
il cristianesimo si sono salvati a vicenda ed entrambi sono alla base del Rinascimento
e della Riforma. La fede ha bisogno della ragione se non altro per essere
trasmessa, ma “la fede nella ragione è esposta alla medesima insostenibilità
razionale di ogni altra fede”. La fede è un fatto di volontà e tra fede e
ragione non ci può essere che inimicizia, anche se hanno bisogno l’una dell’altra.
M. de Unamuno, Del sentimento tragico della
vita; trad. it. dal manoscritto di G. Beccari, Libreria Editrice, Milano,
1914, pagg. 115-125, cap. VI
Il
Cristianesimo, la follia della croce, la fede irrazionale che Cristo era
risuscitato per risuscitarci, furono salvati dalla cultura ellenica
razionalista, e questa dal cristianesimo. Senza questo, senza il cristianesimo,
sarebbe stato impossibile il Rinascimento; senza il Vangelo, senza San Paolo, i
popoli che erano passati attraverso al Medioevo non avrebbero compreso né
Platone né Aristotele. Una tradizione puramente razionalista è impossibile come
una tradizione puramente religiosa. Suole discutersi se la Riforma fu figlia
del Rinascimento o se nacque come protesta contro questo; è il caso di
accogliere l’una e l’altra ipotesi, perché il figlio nasce sempre come protesta
contro il padre. Si dice pure che furono i classici greci redivivi quelli che
volsero uomini come Erasmo a San Paolo, al cristianesimo primitivo, il piú
irrazionale; ma bisogna pur dire che fu San Paolo, l'irrazionalità cristiana
che sosteneva la sua teologia cattolica, ciò che volse Erasmo ai classici. “Il
cristianesimo è quello che è arrivato a essere – si dice – solo per la sua
alleanza coi tempi antichi, mentre fra i copti e gli etiopi non è altro che una
buffonata. L’Islam si svolse sotto l’influsso della cultura persiana e greca, e
sotto quello dei turchi si è convertito in ignoranza distruttrice”. (V. Troeltsch in Systematische
christliche Religion della collezione Die Kultur der Gegenwart).
Uscimmo dal Medioevo e dalla sua fede ardente quanto disperata nel fondo, e non senza intime e profonde incertezze, ed entrammo nell’età del razionalismo, non senza altre incertezze. La fede nella ragione è esposta alla stessa insostenibilità razionale di ogni altra fede.
[...]
Ed è che, come dicevo, se la fede, la vita, non si può sostenere che su una ragione che la renda trasmissibile – e prima di tutto trasmissibile da me a me stesso, cioè, riflessa e cosciente, – la ragione non può a sua volta che sostenersi sulla fede, sulla vita, per lo meno sulla fede nella ragione, fede per la quale questa, la ragione, serve a qualcosa di piú che a conoscere, serve a vivere. E nondimeno, né la fede è trasmissibile o razionale, né la ragione è vitale.
[...]
Filosofia e religione sono nemiche fra loro, ed essendo nemiche hanno bisogno l’una dell’altra. Non c’è religione senza qualche base filosofica, né c’è filosofia senza radici religiose; ognuna vive della sua contraddittoria. La storia della filosofia è in realtà una storia della religione. E gli attacchi rivolti alla religione da un punto di vista presunto scientifico o filosofico non sono altro che attacchi da un altro avverso punto di vista religioso. “Il conflitto che avviene fra scienza naturale e religione cristiana, non avviene in realtà che fra l’istinto della religione naturale, fuso nell’osservazione naturale scientifica, e il valore della concezione cristiana dell’universo, che assicura allo spirito la sua preminenza in tutto il mondo naturale”, dice Ritschl (Rechtfertigung und Versöhnung, III, cap. 4, § 28). Ora quell’istinto è l’istinto stesso di razionalità. E l’idealismo critico di Kant è di origine religiosa; per salvare la religione Kant varcò i limiti della ragione dopo averla in certo modo dissolta in scetticismo. Il sistema di antitesi, contraddizioni e antinomie su cui Hegel costruí il suo materialismo assoluto, ha la sua radice e il suo germe in Kant stesso, e questa radice è una radice irrazionale.
Vedremo in seguito, nel trattare della fede, come questa non sia nella sua essenza che una cosa di volontà, non di ragione, siccome credere è voler credere, e credere in Dio prima di tutto e soprattutto è voler che ci sia Dio. E cosí, credere nell’immortalità dell’anima è voler che l’anima sia immortale, ma è volerlo con tanta forza che questo volere urtando contro la ragione passa su di essa. Ma non senza rappresaglia.
[...]
Ogni posizione di accordo e d’armonia persistente fra la ragione e la vita, fra filosofia e religione, è impossibile. E la tragica storia del pensiero umano non è altro che una lotta fra la ragione e la vita, quella impegnata a razionalizzare questa facendo in modo che si rassegni all’inevitabile, alla mortalità; e questa, la vita, impegnata a “vitalizzare” la ragione obbligandola a servir d’appoggio alle sue ansie vitali Tale è la storia della filosofia, inseparabile da quella della religione.
Il sentimento del mondo, della realtà oggettiva, è necessariamente soggettivo, umano, antropomorfico. E il vitalismo si erigerà sempre di fronte al razionalismo, e la volontà alla ragione. Da ciò il ritmo della storia della filosofia e la successione di periodi in cui la vita s’impone producendo forme spiritualiste, e altri in cui s’impone la ragione, producendo forme materialiste, per quanto l’una e l’altra specie di forme vengano mascherate con vari nomi. Né la ragione, né la vita si danno mai per vinte. Ma sopra ciò ritorneremo in seguito.
La conseguenza vitale del razionalismo sarebbe il suicidio. Lo dice benissimo Kierkegaard: “Il suicidio è la conseguenza di esistenza (existents consequents) del pensiero puro... Non elogiamo il suicidio, ma la passione. Il pensatore, al contrario, è un curioso animale, che è molto intelligente in certi momenti del giorno, ma che, per il resto, non ha niente di comune con l’uomo”.
Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991,
vol. I, pagg. 707-709