I brani che
proponiamo dalle diverse Upanishad mirano a mettere in evidenza il carattere originale di una
ricerca della conoscenza e dell’autocoscienza che va ben oltre l’uso degli
strumenti razionali dell’uomo e include anche momenti rituali. La sapienza
indiana non è quindi filosofia secondo la definizione di Hegel, ma non è
nemmeno religione secondo la concezione occidentale affermatasi
soprattutto grazie alle grandi religioni monoteistiche e rivelate.
a) Il Bráhman è ineffabile, è tutto e il
contrario di tutto
Il Bráhman costituisce una unità fra essere e divenire assolutamente
sconosciuta al pensiero occidentale: non c’è separazione fra ciò che muove e
ciò che è mosso, tra il principio ordinatore e le cose ordinate.
Isa Upanishad
4. Immobile, unico, piú rapido del pensiero, Costui [lo
Spirito, il Bráhman] gli stessi Dèi non possono raggiungere nel suo procedere.
Costui, stando <fermo>, supera gli altri che corrono. In Costui
Matarisvan stabilí le Acque.
5. Costui si muove, Costui non si muove; Costui è
lontano, Costui è vicino; Costui è all’interno di questo Tutto, Costui è anche
all’esterno di questo Tutto.
6. Colui il quale, però, riconosce tutte le forme del
divenire entro l’Atman e l’Atman in tutte le forme del divenire, da Costui piú
non si cela.
7. Colui nel quale tutte le forme del divenire sono
diventate il proprio Sé, Colui il quale ciò conosce, quale turbamento vi può
essere, quale dolore, per Colui il quale <in ogni cosa> scorge l’unità?
8. Egli si è diffuso, luminoso, incorporeo, senza
difetti, senza organi, puro, invulnerabile al male. Il vate [kavi], il
pensatore [manisin], colui che tutto diviene [paribhu], l’autogeno [svayambhu]
ha ordinato le cose secondo la loro essenzialità da evi infiniti.
b) Il Bráhman è il principio di tutte le
cose
Il Bráhman, al di là dei nostri sensi e della nostra mente, è il
principio di tutte le cose, è ciò che fa sí che i nostri sensi sentano e che la
nostra mente pensi. Om (o Pranava) è la sillaba creatrice nella
quale è racchiuso il senso dell’universo; è usata come invocazione liturgica o
formula di concentrazione per la meditazione.
Kena Upanishad
Om!
1. Da chi [kena] desiderato <e da chi>
impulso vola il pensiero? Da chi soggiogato muove il respiro per primo? Da chi
voluta viene detta questa parola? Quale dio aggioga la vista e l’udito?
2. Allorché i Saggi si sono liberati dall’udito
dell’udito, dalla mente della mente, dalla parola della parola, dal respiro del
respiro, dalla vista della vista, dipartendosi da questo mondo, diventano
immortali.
3. Ivi non giunge la vista, né la parola, e neppure la
mente. Non sappiamo né conosciamo in quale modo Lo si possa insegnare; Egli è
altri che il noto e l’ignoto. Cosí l’abbiamo udito dagli antichi rishi,
che ce l’hanno spiegato.
4. Ciò che non è articolato dalla parola, ma mediante il
quale la parola è articolata, questo è il Bráhman. Sappilo. Non è
certamente ciò che in questo mondo si venera come tale.
5. Ciò che con la mente non si può pensare ma, come
dicono, mediante il quale la mente viene pensata, questo è il Bráhman.
Sappilo. Non è certamente ciò che in questo mondo venerano come tale.
6. Ciò che con l’occhio non si vede, ma mediante il
quale gli occhi vedono, questo è il Bráhman. Sappilo. Non è certamente
ciò che in questo mondo venerano come tale.
7. Ciò che con l’udito non si ode, ma mediante il quale
l’udito ode, questi è il Bráhman. Sappilo. Non è certamente ciò che nel
mondo si venera come tale.
8. Ciò che nel respiro non respira, ma dal quale il
respiro è guidato <nella sua funzione>, questi è il Bráhman.
Sappilo. Non è certamente ciò che nel mondo si venera come tale.
c) Il Bráhman è un “bersaglio”
Il Bráhman è come un bersaglio da raggiungere. Ciascuno ha in sé la
freccia per raggiungere quel bersaglio: la meditazione.
Mundaka Upanishad, II, 3
1. La Grande Sede [mahat padam] è manifesta, pur
movendo celata nel cuore <di tutte le cose>, e in lei è stabilito tutto
ciò che esiste, movente, respirante, balenante. Sappiate che Essa è piú desiderabile
che il Reale e l’Irreale [sadasad, “essere non essere”], piú alta della
conoscenza [vijnana, “cognizione distintiva”]. Essa è l’Ottimo per tutte
le creature.
2. Ciò che è splendente ed è piú sottile che il sottile,
ciò su cui sono fondati i mondi e gli abitanti dei mondi, è questo il Bráhman
indefettibile: esso è l’energia vitale [prana], il Verbo, l’Intelligenza
[manas]; esso è il Vero, l’Immortale. Riconoscilo [...] come <il
bersaglio> da trafiggere.
3. Avendo afferrato come un arco quella grande arma che
è l’arcano insegnamento [Upanishad], incocca in esso la freccia acuita
dalla meditazione: avendolo tratto mediante lo spirito concentrato nella
meditazione dell’Essere, riconosci questo indefettibile come il bersaglio
<da colpire>, o mio caro.
4. Il Pranava [la sillaba Om] è denominato
arco, lo Atman freccia, il Bráhman bersaglio. Senza farsi
distrarre [a-pramattena] questo bisogna colpire, essendosi reso simile a
un dardo.
5. Ciò in cui sono tessuti il cielo, la terra e lo
spazio intermedio, la mente [manas] assieme a tutti i sensi, questo è l’Atman
unico e quello che si deve conoscere, lasciate tutti gli altri discorsi! Questo
è il ponte [setu] verso l’immortalità.
d) La ricerca del Sé supremo
Nel brano sono messe in evidenza le tappe della ricerca
del Sé supremo, di ciò che rende possibile l’esperienza fisica e sensibile
(degli oggetti esteriori), l’esperienza del sogno, il sonno profondo – in cui
la coscienza è strumento di conoscenza –, e infine la totale illuminazione e
autocoscienza, la “pienezza di pace e di beatitudine”.
Mandukya Upanishad, I-II
I
1. Om è questo indefettibile <Bráhman>;
Om è tutto ciò che è; questa <Upanishad> ne è la
spiegazione; ciò che è esistito, ciò che esiste e ciò che esisterà, tutto
<ciò> è <compreso nello> Om. Quell’Altro, trascendente la
tritemporalità, è pur esso designato da Om.
2. Tutto questo <che è> è, invero, il Bráhman;
questo Atman è il Bráhman; questo Atman ha quattro stati [catuspat,
“quattro piedi”].
3. La prima condizione è Vaisvanara, la quale ha
come sede lo stato di veglia [jagarita-sthana]; essa ha conoscenza degli
oggetti esteriori, ha sette membra, diciannove volti e fruisce del mondo
materiale.
4. La seconda condizione è Taijasa, la cui sede è
lo stato di sogno [svapna]: essa ha conoscenza degli oggetti interni; ha
sette membra e diciannove bocche ed ha come dominio il mondo della
manifestazione sottile.
5. Allorché l’essere dormiente non prova piú desideri,
non è piú soggetto a sogni, allora si ha la condizione di sonno profondo [susupta].
Colui che è in questo stato è divenuto uno [eki bhuta], è divenuto
sintesi di conoscenza [prajnana-ghana], si è fatto beatitudine [ananda-maya]
ed ha la beatitudine come campo di esperienza; la coscienza <stessa> è il
suo strumento di conoscenza. Costui è chiamato Prajna [conoscitore
assoluto]. <Questa è> la terza condizione.
6. Egli è il Signore di tutto; Egli è l’onnisciente;
Egli è l’ordinatore interno; matrice di tutto, Egli è l’origine e la fine di
<tutti> gli esistenti.
II
7. I saggi pensano che il Quarto, che non ha conoscenza
né degli oggetti interni né di quelli esterni, né, contemporaneamente, di
questi e di quelli, che non è sintesi di conoscenza, <poiché> non è né
conoscente né non conoscente, che è invisibile, non agente, incomprensibile,
indefinibile, impensabile, indescrivibile, è la sicura essenza fondamentale
dell’Atman, nella quale è totalmente cessata ogni traccia di
manifestazione, ed è pienezza di pace e di beatitudine, senza dualità: questo è
l’Atman [cosí deve venir conosciuto].
e) Prajapati, le forze creative dell’universo
Nelle
Upanishad ritorna
costantemente il tema dell’unità di tutto il creato e del Creatore con le
creature. Qui si sottolinea che anche le parole della preghiera e il suono
della meditazione (Om) nascono dalla stessa forza creatrice e sono
tutt’uno con l’universo.
Chandogya Upanishad
2. XXIII
3. Prajapati covò i mondi. Dai mondi covati nacque il
triplice Veda. Egli li covò. Ne uscirono le sillabe <sacre> bhuh,
bhuvah, svah [terra, aria, cielo].
4. Egli li covò: ne uscí il suono Om. Come tante
foglie l’una sull’altra, attraversate da una asticciola, cosí tutte le parole
sono fondate sul suono Om. Il suono Om è tutto questo universo –
è davvero tutto questo universo.
3. XII
5. Questa gayatri [la piú importante preghiera
rituale indú], con i suoi sei aspetti [gli esseri, la parola, la terra, il
corpo, il cuore, il prana (l’energia vitale)], comprende quattro pada
[quattro quarti]. Ecco ciò che dice un saggio a tale proposito:
6. Tale è la sua grandezza; piú grande è il Purusha
[l’Essere universale, primigenio]; un suo quarto comprende tutti gli esseri;
dei suoi altri tre quarti è fatta nel cielo l’immortalità.
3. XIII
7. Ed ora, quel lume celeste che splende al di sopra di
noi, che brilla di là da tutte le cose, di là dall’universo, nei mondi
superiori oltre ai quali non vi è piú nulla, questa luce è, senza dubbio,
quella stessa luce che irraggia dentro l’uomo.
f) Nel cuore dell’uomo c’è tutto l’universo
Secondo
la teoria della reincarnazione l’uomo determina il proprio destino nelle vite
successive. Ma ciascun uomo ha dentro di sé, nel cuore, il Bráhman, tutto l’universo: cioè la
possibilità di unirsi – una volta lasciato questo mondo – al Tutto.
Chandogya Upanishad
3. XIV
1. Tutto quanto esiste è Bráhman. Nel riconoscere
l’inizio, la fine ed il presente di ogni cosa occorre essere nella pace. L’uomo
è materiato di volontà [kratu-maya]; allorché l’uomo abbandona la vita
diviene ciò che in fatto di volontà ha concepito in questo mondo. Bisogna
pertanto che eserciti la sua volontà.
2. Spirito puro il cui corpo è soffio di vita, la cui
forma è luce, il cui concetto è verità, la cui essenza è spazio, sorgente di
ogni attività, di ogni desiderio, di ogni percezione di odore e di gusto,
abbracciante quanto vi è, muto, indifferente.
3. È questo Sé [Atman] dentro il mio cuore, che è
piú piccolo di un grano di riso, di un grano di orzo, di un grano di senape, di
un grano di miglio, di un nocciolo di un grano di miglio: questo stesso Sé che
è dentro il mio cuore è piú grande della terra, piú grande dello spazio, piú
grande del cielo, piú grande di tutti i mondi.
4. Sorgente di ogni attività, di ogni desiderio, di
tutte le percezioni di odore e di gusto, abbracciante tutto ciò che è, muto,
indifferente, è questo Sé, che è dentro il mio cuore. Questo è lo stesso Bráhman.
Colui il quale dice a se stesso: “Uscendo da questo mondo in lui trapasserò”,
in verità non vi è per lui alcun dubbio di essere nel giusto. Cosí dice
Sandilya.
g) Il Bráhman è pensiero e spazio
Il punto di vista soggettivo e quello oggettivo.
Chandogya Upanishad
3. XVIII
1. Occorre riconoscere che il Bráhman è pensiero
[manas]: ciò dal punto di vista individuale [adhyatmam]. Per
quanto si riferisce, invece, al punto di vista cosmico [adhidevatam],
bisogna riconoscere che il Bráhman è spazio [akasa]. Questi sono
i due punti di vista, il soggettivo [individuale] e l’oggettivo [cosmico].
h) Nel cuore dell’uomo è la “città del Bráhman”
Il Bráhman occupa in ciascuno di noi uno spazio piccolo, dove però è
contenuto tutto l’universo: questo è il Sé (Atman). Il Sé è immortale,
non invecchia, e, dopo la morte del corpo – se è stato conosciuto e
riconosciuto –, ci consente di essere felici in tutti i mondi delle nostre vite
future.
Chandogya Upanishad
8. I
1. In questa città del Bráhman <che è il
corpo> un sottile loto forma una dimora, dentro la quale vi è un piccolo
spazio. Bisogna ricercare ciò che vi è dentro questo spazio, bisogna desiderare
di conoscerlo.
2. E se qualcuno domanda: “In questa città del Bráhman
un piccolo loto forma una dimora nella quale vi è un piccolo spazio; che cosa
essa racchiude che sia necessario ricercare, che occorra desiderare di
conoscere?”.
3. Bisogna rispondere: “Questo spazio che si trova
all’interno del cuore è altrettanto vasto quanto lo spazio che abbraccia il
nostro sguardo. L’uno e l’altro, il cielo e la terra, vi sono riuniti; il fuoco
e l’aria, il Sole e la Luna, la folgore e le costellazioni, e tutto ciò che
appartiene a ciascuno di loro in questo mondo e ciò che loro non appartiene,
tutto ciò vi è riunito”.
4. E se qualcuno dice: “Se tutto ciò che esiste è
riunito in questa città del Bráhman, tutti gli esseri reali e tutti i
desideri, che cosa di loro rimane, allorché la vecchiaia la raggiunge o
allorché essa viene distrutta?”.
5. Bisogna rispondere: “<Il Bráhman> non è
raggiunto da vecchiaia, non è colpito dal colpo che lo distrugge. Essa è la
vera città del Bráhman: tutti i desideri [kamah, “esseri in
potenza”] in lei sono riuniti. Questo è l’Atman puro di qualunque
peccato, libero da vecchiaia, da morte, da dolore, da sofferenza, da fame, da
sete, i cui desideri sono tutti realtà <effettuata>. Allo stesso modo che
le creature in questo mondo si comportano seguendo una autorità, e tendono
verso un particolare oggetto desiderato, scegliendosi un paese o una regione,
in cui vivono.
6. E come in questo mondo si consuma ciò che si è
acquisito mediante le azioni [i riti sacrificali], egualmente nell’altro mondo
si consuma ciò che si è acquisito mediante le buone opere. Perciò coloro i
quali passano per questo mondo senza riconoscere l’Atman e, per mezzo
suo, i desideri che sono realtà inverata, costoro vivono in tutti i mondi senza
potere ciò che vogliono. Ma coloro i quali, vivendo in questo mondo,
riconoscono l’Atman e, per mezzo suo, la effettuazione dei desideri,
costoro in tutti i mondi possono ciò che vogliono.
i) Il Sé supremo (Atman)
La felicità eterna è garantita dalla conoscenza del Sé (Atman).
Chandogya Upanishad
8. IV
1. Questo Atman è una diga [setu], una
barriera che separa i mondi. Né le notti né i giorni possono passare di là da
questa diga, né la vecchiaia, né la morte, né il dolore, né la sofferenza, né
le buone né le cattive azioni.
2. Tutti i peccati recedono da essa; perché il mondo del
Bráhman è senza peccato. Questa è la ragione per la quale, invero, la
notte, per chi traversa la diga, si tramuta in giorno. Perché il mondo del Bráhman
è, una volta per tutte, mondo di luce.
8. VII
1. “L’Atman liberato da ogni peccato, che non è
sottoposto a vecchiaia, a morte, a sofferenza, a fame, a sete, i cui desideri
ed i cui pensieri sono realtà, questo è ciò che bisogna cercare, è questo che
bisogna desiderare di conoscere. Acquista tutti i mondi, realizza tutti i
desideri, colui il quale raggiunge questo Atman e lo conosce”. Cosí
parlò Prajapati.
(Upanishad antiche e medie,
Boringhieri, Torino, 19682)