Upanishad, Oltre il velo di maya

Riportiamo qui di seguito alcuni brani dai quali traspare l’esigenza di superare “il mondo della manifestazione illusoria” – il velo di maya – per approdare alla visione completa e appagante del Bráhman.

 

a) La conoscenza del Sé è il senso della vita (Kena Upanishad vakya bhasya, II, 5)

 

                Il Sé dev’essere conosciuto qui, in questa vita. Tal è la mèta. Come? Se il Sé è conosciuto qui, allora si è compresa la suprema verità e il fine dell’esistenza è raggiunto; tal è l’intento. Se il Sé non è conosciuto, la vita non ha senso. Ci saranno allora continui conflitti nel ciclo incessante delle nascite e delle morti. È con il proposito di porre fine a ciò che il Sé dev’essere conosciuto.

 

b) Il Sé è conosciuto con la coscienza (Mundaka Upanishad bhasya, III, 1, 9)

 

                Il Sé di cui abbiamo parlato, il Sé sottile, dev’essere conosciuto unicamente con la pura coscienza [cetasa]. Dove dev’essere realizzato? Nel corpo in cui la forza vitale [prana] è penetrata in cinque differenti forme (i cinque soffi). E in questo corpo, nel cuore, il Sé dev’essere conosciuto con la coscienza. Tal è l’idea. Con quale specie di coscienza dev’essere conosciuto? È stato detto: Con quella coscienza che compenetra, come il latte in riguardo al burro o il fuoco in riguardo al legno, l’intero organo interno, inclusi la mente e gli organi sensoriali. Perché l’organo interno di ogni creatura in questo mondo è conosciuto come provvisto di coscienza. Inoltre, in questo organo interno divenuto puro, affrancato da ogni inquietudine, il Sé di cui si parla si rivela, distintamente, nella sua propria realtà.

 

c) Il Bráhman è indefinibile (Brhadaranyaka Upanishad bhasya)

 

                Come si può descrivere con i due termini: non questo, non questo [neti neti], la Realtà in sé? [...] Con l’eliminazione di tutte le differenze causate dalle sovrapposizioni su ciò che non ha distinzione di norme o forma, attività o eterogeneità, specie o qualità. Le parole designano solo oggetti proprio attraverso l’uno o l’altro di tali dati distintivi, ma il Bráhman non possiede alcuno di questi attributi. Pertanto non può essere descritto con: Esso è questo e questo, allo stesso modo in cui possiamo descrivere una vacca dicendo: Ecco, laggiú, una vacca bianca con le corna. Il Bráhman è indicato per mezzo di nomi, di forme e di attività che gli sono stati sovrapposti, come ad esempio (in questa Upanishad): il Bráhman è Conoscenza e Beatitudine; pura Intelligenza; Bráhman o atman.

 

d) La liberazione dal corpo fisico e l’unione al Bráhman (Mundaka Upanishad bhasya, III, 2, 5)

 

                Avendo conseguito e pienamente realizzato Quello – il Sé –, i Saggi sono perfettamente appagati da questa reale conoscenza e non già da alcun’altra gratificazione offerta loro dagli oggetti dei sensi, i quali conducono alla morte fisica. Avendo stabilizzato la loro identità con il Sé supremo, libero da ogni impedimento quale l’attaccamento, profondamente pacificati, avendo praticato il ritiro dai sensi, questi esseri hanno realizzato il Bráhman onnipervadente, simile allo spazio, ovunque e non in modo parziale come se fosse circoscritto dalle limitazioni sovrapposte. Che cosa ne consegue? Avendo realizzato, come loro proprio Sé, questo reale Bráhman che è senza secondo, questi esseri discriminanti, che sono per natura sempre assorti in profonda contemplazione, entrano del Tutto (sarvam), anche al momento in cui il corpo perisce. Essi hanno rimosso le limitazioni create dall’ignoranza, come lo spazio racchiuso all’interno di un vaso al momento in cui il vaso è infranto. Cosí i conoscitori del Bráhman entrano nella dimora del Bráhman (brahmadhama).

 

e) L’illuminazione e la percezione dell’universo

 

Shamkara scrisse anche numerosi manuali preliminari allo studio delle Upanishad, della Bhagavad Gita e del Brahmasutra. Riportiamo un frammento dell’Atmabodha (Conoscenza del Sé): 3, 8, 16, 22, 28, 67.

 

3. Non essendole opposta, l’azione non può distruggere l’ignoranza; soltanto la conoscenza distrugge l’ignoranza, come la chiara luce dissipa l’oscurità.

 

6. Dall’universale sostrato, il supremo Signore e Causa prima, i mondi sorgono, esistono e si dissolvono come bolle di schiuma nell’acqua.

 

16. Sebbene sia sempre onnipervadente, il Sé non si rivela ovunque. Esso si manifesta soltanto nell’intelletto puro, come un’immagine riflessa [si percepisce solo] in specchi nitidi.

 

22. In verità, attaccamento, desiderio, piacere, dolore, ecc. si manifestano in presenza dell’intelletto. Nel sonno profondo, quando quello [buddhi] non è in esistenza, essi nemmeno esistono. Perciò appartengono al buddhi e non affatto al Sé.

 

28. Per il Sé, essendo la Conoscenza la Sua stessa natura, non v’è bisogno di altri mezzi di conoscenza per conoscere Se stesso, come una lampada non necessita di un’altra lampada per illuminare se stessa.

 

67. Invero il Sé, sole di Conoscenza, fissato nello spazio del cuore, è Colui che dissolve l’oscurità; essendo l’onnipervadente sostrato di tutto, Esso infinitamente risplende e fa ogni cosa risplendere.

 

(P. Martin-Dubost, Shamkara e il Vedanta, Armando, Roma, 1989, pagg. 59, 61, 63, 68, 118-119)