L’uomo non desidera l’onestà e la virtú, ma il piacere, cioè Dio, che è anche la fonte di ogni piacere. La questione è che bisogna scegliere fra il piacere su questa terra e quello nei cieli, visto che chi cerca l’uno non può avere l’altro.
L. Valla, De vero falsoque bono
Ma vedete quanto dobbiamo aver caro, quanto dobbiamo amare
Iddio. Infatti tutte le cose che si amano si amano per due ragioni: o perché
portano gioia, come le cose che vediamo, udiamo ecc., o perché ricevono la
gioia, come l’occhio che è fatto per avere diletto guardando il colore, e gli
altri sensi. Queste cose sono ambedue necessarie, poiché il colore sarebbe
inutile se non fosse ricevuto dagli
occhi, e gli occhi nelle tenebre è come se fossero ciechi (né so quale
delle due sia piú importante), ma non possono mai essere insieme in una cosa
sola. Ciò che si vede non è quello che vede, né quello che vede è la stessa
cosa che è veduta. Parlo degli occhi di una sola persona non di quelli di due
che si guardano tra loro. Queste due cose sono insieme in Dio, il quale ci creò
dal nulla, capaci di fruire dei beni, onde dobbiamo amarlo piú che noi stessi,
e ci forní questi beni medesimi. Dio stesso è questi beni, ma vi si distingue
per una certa proprietà, poiché la nostra beatitudine non è Dio stesso ma
discende da Dio, come la gioia che provo nel vedere uno splendore o nel sentire
una voce soave non è la stessa cosa che lo splendore o la voce, ma queste cose,
offerte ai miei sensi, fanno sí che io goda. Cosí la beatitudine stessa si
genera dalla visione e dalla nozione di Dio. Bisogna notare pure che sebbene io
dica che il piacere o diletto è il solo bene, non amo tuttavia il piacere ma
Dio. Il piacere stesso è amore, poiché Dio fa il piacere. Ricevendo ama,
ricevuto è amato; l’amare stesso è diletto, o piacere o beatitudine o felicità
o carità, che è il fine ultimo e in relazione al quale ci sono le altre cose.
Onde non sono d’accordo che si dica che Dio deve essere amato per se stesso,
quasi l’amore stesso sia in vista di un fine e non sia piuttosto esso stesso
fine. Meglio si direbbe che Dio è amato non come causa finale ma efficiente,
sebbene siamo soliti, quando parliamo della causa efficiente, fare menzione di
essa nominativamente, come: ti amo per la tua umanità, per la tua facondia, per
la tua bellezza. D’altra parte nei libri sacri non troviamo che Dio debba
essere amato per se stesso, ma solo che deve essere amato: onde appare che
coloro i quali parlano cosí parlano piuttosto alla maniera dei filosofi che dei
teologi. Qualcuno forse mi opporrà, perché ho detto che riceve ed è ricevuto,
che l’una cosa e l’altra è necessaria e l’una senza l’altra vana, dunque perciò
non è nemmeno buona. Che? direbbe; se non sarà ricevuto dall’occhio la luce non
sarà buona? Non è buona ogni creatura di Dio? Eppure è detto: “e Dio vide che
erano molto buone”. Tanto che persino nei demoni e nei dannati c’è qualcosa di
buono, per il fatto stesso che sono ed hanno in tal modo una condizione
migliore che se non fossero affatto. Per rispondere a questo critico io spiego
che tutte le cose sono state create da Dio, sapientissimamente e con somma
prudenza, e che perciò si chiamano beni: tuttavia le cose che sono prive di
sensibilità non sono state create per sé ma per quelle che sono fornite di
sensibilità. Che importa infatti, alle cose inanimate, che cosa siano? Che ha
infatti il diamante piú del carbone? che ha di piú se splenda su un anello o
resti imbrattato nella polvere? Anzi addirittura, che importa ad esse se siano
o non siano? Io certo non preferirei essere una pietra al non essere affatto.
Tutte le cose inanimate sono create dunque per quelle che hanno anima e
sensibilità, ossia per il loro bene. E cosí altro è essere, altro essere bene;
quello è della sostanza, questo della qualità. D’altronde nessuna cosa animata
è da ritenere che abbia il bene quando sente dolore e molestia: dunque il suo
bene sarà il senso del godimento. Per cui Dio fece bene le creature, per il
bene dei giusti e per il male degli iniqui. E per questo è scritto che Dio crea
il male. La luce, dunque, per coloro che non vedono non è né buona né cattiva,
per quelli che vedono, è in vari modi, poiché offende e lenisce la vista, come
il calore il quale nelle sue varie forme emana dal fuoco. Infatti il calore
brucia e riscalda: è male per coloro che brucia, bene per coloro che
riscalda...
... Cosí ho confutato o condannato la dottrina sia degli
Epicurei che degli Stoici, ed ho mostrato che né presso gli uni né presso gli
altri, e addirittura presso nessuno dei filosofi c’è il bene sommo o
desiderabile, ma piuttosto nella nostra religione, da raggiungersi non in terra
ma nei cieli.
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol.
VI, pagg. 929-931