Lorenzo Valla è convinto che la
superiorità della vita attiva su quella contemplativa sia evidente. Ciò lo
porta a polemizzare con Aristotele sul theoretikós bíos (“attività contemplativa”) inteso come
vertice della vita umana e sulla concezione di Dio come nóesis noéseos
(“contemplazione pura”).
L. Valla, De vero falsoque bono
Gli dèi possono star soli, poiché
come tu vuoi non hanno bisogno di nutrimento e non nascono; gli uomini non
possono, poiché si nutrono di cibo e si generano dall’incontro di due esseri.
Per conto mio, se si dovesse optare per una delle due soluzioni preferirei
presentare gli dèi come agenti piuttosto che contemplanti: e che avessero
celebrato tra loro la prima società, e quasi rispettassero delle leggi e
adempissero come a degli uffici civili. E poi, per ciò che si riferisce agli
uomini, nel generare e nel nutrire i semi si adoperassero e nel provvedere alle
cose umane, e sempre meditassero qualcosa di nuovo. Poiché cose nuove non possono
contemplare (infatti sanno tutto), essi fanno continuamente cose nuove, in
quanto essi stessi fanno queste cose che vediamo assiduamente rinnovarsi.
Quanto a me non indago né curo se la cosa sia o non sia cosí. Se la vedano
loro: penserei tuttavia che essi godano dei loro piaceri, come attesta quel tal
Panfilo in Terenzio, dicendo:
Ego vitam deorum propterea
sempiternam esse arbitror,
quod eorum voluptates sunt
propriae...
[“E penso che per questo è
immortale la vita degli dei:
perché i loro piaceri sono
eterni” (Andria, V, 7, vv. 959-960)]
Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol.
VI, pag. 917