Valla, Stoicismo, epicureismo, cristianesimo

Confrontando stoicismo ed epicureismo Lorenzo Valla opta per quest’ultimo, pur condannandolo dal punto di vista cristiano. Gli stoici sono piú simili ai farisei; gli epicurei ai sadducei.

 

L. Valla, De vero falsoque bono

 

Torniamo ora a giudicare della vostra disputa e alla dimostrazione del vero bene. Uno definisce il solo o il sommo bene come onestà, l’altro come piacere: due scuole filosofiche contrarie tra loro, e ciascuna difende la sua. E cosí è accaduto molto a proposito, ed io l’ho sopportato volentieri, che abbiamo voluto parlare come antichi filosofi. In questo modo apparirà piú facilmente il loro comune errore: e tanto piú simpatico appare ciò che avete fatto in quanto avete trattato quasi di proposito delle due scuole, per esprimere il mio pensiero, le piú nobili fra tutte. Di ciò oltre a molti altri, è segno il fatto che negli Atti degli Apostoli sono ricordati solo gli Epicurei e gli Stoici, che, si vede, fiorirono piú degli altri, in quel tempo nello stesso domicilio degli studi, Atene, nutrice della filosofia. Sarebbe meglio tuttavia che affermaste i dogmi di Dio invece dei loro, tu Catone quello stoico e tu Vegio quello epicureo, e non vi foste mostrati, per amore di esercitazione o di novità, compiaciuti nel riprodurre la materia e il costume di disputare degli antichi [...]

Quindi per dare finalmente la mia sentenza, dico cosí. Poiché i filosofi che hanno predicato l’onestà hanno voluto che non ci fossero premi, o solo incerti e vani, dopo questa vita che viviamo, e hanno posto il sommo bene nell’onestà, mentre gli Epicurei, l’hanno posto nel piacere, pur condannando gli uni e gli altri, mi pronuncio in favore degli Epicurei (non in tuo favore, Vegio, né contro di te, Catone, che siete obbligati dal sacramento di un’altra milizia), e contro gli Stoici, che condanno per due ragioni: una perché affermano che la virtú è il sommo bene, l’altra perché hanno mentito, seguendo una vita diversa da quella che professano, lodatori delle virtú e amanti dei piaceri, anche se meno degli altri. Amanti, in ogni caso, della gloria che inseguivano con le mani e coi piedi. E se qualcuno non mi crede, creda ai nostri saggi i quali non dubitarono di dire: il filosofo animale avido di gloria. E qual meraviglia se ciò accadde a coloro che erano lontani dalla vera religione, quando vediamo che ciò accade pure agli Ebrei? Ritengo infatti che i Farisei possano assai bene essere paragonati agli Stoici. Simili agli Stoici infatti, i Farisei custodivano o fingevano di custodire i precetti della legge dei Giudei, non per la giustizia ma per la gloria, come per avere i primi posti a tavola, essere salutati per primi nel foro, essere chiamati “Rabbi”, apparire osservanti del digiuno e cose simili. Inoltre per i guadagni, poiché la razza dei Farisei era avidissima, come anche quella degli Stoici. Per i Farisei la cosa è pacifica: quanto agli Stoici, per provare ciò con un esempio solo, Seneca, il principe dei nostri Stoici, diede piú precetti intorno alla povertà di quanti non ne abbia dati Diogene; ma Giovenale dice di codesto maestro di povertà: “gli orti del ricchissimo Seneca”. E ciò hanno ricordato pure Svetonio Tranquillo e Cornelio Tacito e molti altri. Tuttavia, per non tacere degli Epicurei che pure condanno, come confronto gli Stoici coi Farisei, cosí paragono gli Epicurei ai Sadducei: poiché i Sadducei, quasi avessero letto non Mosè ma Aristippo, non solo negavano la resurrezione, ma pure che ci fossero gli angeli e gli spiriti.

 

(Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1964, vol. VI, pagg. 921-924)